Alberto Dettori: una vicenda irrisolta

16.03.2022

Mario Alberto Dettori (Alberto, per gli amici e chi lo ha conosciuto) era nato a Pattada il 15 agosto 1948, e qui aveva frequentato le scuole prima di arruolarsi in Aeronautica all'età di diciasette anni. Maresciallo di seconda classe e Assistente controllore di difesa aerea, aveva prestato servizio nei centri radar di Marsala e di Vigna di Valle, prima di trasferirsi in quello di Poggio Ballone, vicino a Grosseto.

La notte del 27 giugno 1980, nei cieli di Ustica, avvenne una tragedia che per certi versi non è chiara ancora oggi. Un aereo, un DC-9 dell'Itavia, partito da Bologna e diretto all'aeroporto di Palermo-Punta Raisi, precipitò nel basso Tirreno portando con sé 80 persone. Nonostante l'impegno delle istituzioni italiane ed internazionali nel tenere nascosto l'accaduto, oggi possiamo dire, con ragionevole certezza, che l'aereo venne abbattuto da un missile (restano dubbi su chi quel missile lo abbia sparato).

Quella notte di giugno, a seguire l'aereo dal centro radar di Poggio Ballone, c'era anche Alberto Dettori, che vide sullo schermo della sua postazione qualcosa che lo scosse profondamente. La mattina seguente, alla fine del turno, rientrò a casa teso. Disse a sua moglie che era successo un casino, qui vanno tutti in galera, siamo stati a un passo dalla terza guerra mondiale. E qualche anno dopo confidò ad alcuni colleghi: «Siamo stati noi a tirarlo giù», riferendosi all'aereo civile scomparso.

Fino alla notte della strage di Ustica il maresciallo Dettori era stato descritto come un uomo felice, amante del proprio lavoro e della sua famiglia; alcuni colleghi lo descrivevano come «un elemento in gamba, con un carattere amabilissimo» o, ancora, «un ragazzo molto estroverso che amava giocare a tennis». Ma dopo il 27 giugno dell'80 Mario Alberto Dettori cominciò ad essere preoccupato, ai limiti della paranoia; era più nervoso, aveva paura di essere spiato, controllava che in casa non ci fossero microspie. Si rivolse anche allo psichiatra dell'ospedale Misericordia di Grosseto, che dia-gnosticò deliri con ideazione di tipo paranoide e deliri sistematizzati. E invece, forse, Alberto Dettori era solo ossessionato e spaventato per quello che aveva visto e per quello che sapeva.

Il 31 marzo del 1987 il suo cadavere venne ritrovato appeso a un albero in riva al fiume Ombrone. Era uscito la mattina, per accompagnare a scuola uno dei suoi figli e per andare a prendere l'acqua in un fontanile. Per la sua morte non venne ordinata nessuna autopsia né alcun ulteriore accertamento. La morte, secondo i carabinieri, era da attribuire a impiccagione con conseguente arresto cardiocircolatorio e respiratorio, senza il bisogno di aprire alcuna inchiesta approfondita.

Quella del suicidio è una tesi che non ha convinto i familiari e tante altre persone. Perché Alberto Dettori non era tipo da suicidarsi, amava troppo la vita e i suoi familiari. E perché intorno ai militari che hanno avuto a che fare con la strage di Ustica ci sono tante altre morti sospette, che per molti non sono solo coincidenze. Tra l'80 ed il '95 ben dodici appartenenti all'aeronautica che potevano essere a conoscenza dei fatti reali su quella notte sono deceduti in circostanze misteriose: altri tre suicidi, due omicidi e alcuni incidenti stradali o aerei. Ad aggiungere ulteriori ombre c'è poi il fatto che, negli anni '90, per la strage di Ustica, siano finiti sul banco degli imputati i vertici dell'Aeronautica e molti militari in servizio la notte del disastro, con l'accusa di aver depistato le indagini, ostacolato il percorso della giustizia e aver fornito notizie inesatte, quando non completamente false, al Governo su quanto era avvenuto nei cieli del Tirreno.

Nel dicembre del 2016 è stata riaperta un'inchiesta sul suicidio del maresciallo Dettori, in cui è stata ordinata la riesumazione della salma, ma è stata archiviata lo scorso aprile.

I compagni di scuola lo ricordano come un ragazzo vivace ma educato, appassionato di aereoplani e di apparecchi ricetrasmittenti. Aveva intrapreso la strada che gli piaceva, e della quale probabilmente conosceva i rischi. Ma la sua vicenda resta irrisolta.