Anima di Wajdi Mouawad

20.03.2023

Un'opera scritta da Wjdi Mouavad, nato in Libano nel 1968, e trasferitosi prima a Parigi e poi a Montreal a causa della guerra scoppiata nel suo paese. È scrittore, drammaturgo, regista.

Nel libro Wahhch Debck, giovane uomo canadese, un giorno, tornando a casa dal super-mercato, trova la moglie Leonie riversa in salotto in un lago di sangue. Unico testimone dell'orrendo delitto è il gatto di casa.

Rimproverandosi la breve assenza W.D. parte alla ricerca dell'assassino. Contrariamente a quanto si potrebbe pensare non è un thriller; l'identità dell'assassino si scopre, infatti, immediatamente. La sua ricerca non è dettata da un desiderio di vendetta ma da un grande dolore che lo porta a fargli sospettare di essere stato lui stesso a uccidere Leonie; vedere in faccia l'assassino gli darebbe la conferma del contrario. Sarà un lungo viaggio che lo porterà in luoghi tetri ed ostili a scontrarsi con la bieca crudeltà degli uomini. Noi vediamo lo svolgersi degli avvenimenti attraverso gli occhi degli animali che il protagonista, inconsapevolmente, incontrerà nel suo cammino: gatti, uccelli, serpenti, insetti, cani lupo. Ogni capitolo ha il nome scientifico latino del protagonista ma capiamo perfettamente di quale animale si tratti dal suo comportamento, minuziosamente descritto dall'autore. Loro ci faranno conoscere l'uomo, il suo aspetto fisico, i vestiti, l'odore che emana, l'infinita tristezza che traspare da tutto il suo essere. E sono ancora loro, gli animali, che avranno comprensione e proveranno pietà per quell'umano che vaga sì alla ricerca di un assassino, ma che diventa man mano ricerca di sé stesso, delle sue origini, di risposte a domande che lo perseguitano da quando ha memoria. Sarà un viaggio lungo, pericoloso, che lo porterà ad attraversare le riserve dei nativi americani e finirà in un luogo lontano dove tutto ha avuto origine: il Libano, nei campi profughi di Sabra e Shatila ai tempi del massacro compiuto dai falangisti libanesi con l'aiuto degli Israeliani ai danni dei profughi Palestinesi.

È un libro molto crudo e la verità è che «il cielo non ha visto niente di più bestiale dell'uomo». Accanto a descrizioni di scene molto cruente e dettagliate, ce ne sono altre di un lirismo che incanta e commuove. È un'opera che vale la pena leggere sia per l'assoluta originalità della struttura del libro e dello stile narrativo, che per gli spunti di riflessione che offre su eventi storici realmente accaduti, e su problematiche annose ed estremamente attuali.

Francesca Sini