Assistenza, non assistenzialismo

12.12.2020

Sono trascorsi 20 anni da quella che viene ricordata come una primavera per le politiche sociali in Italia. È l'8 novembre del 2000 quando il Parlamento approva la "Legge quadro per la realizzazione del sistema integrato di inter-venti e servizi sociali", frutto di un lavoro di confronto e di concertazione durato anni, di un percorso partecipato e condiviso, tra forze politiche e sociali, voluto fortemente dall'allora Ministra della Solidarietà Sociale Livia Turco. In quella ridefinizione delle politiche sociali, si supera l'idea di «utente portato-re di bisogni» per abbracciare l'idea della persona dotata di risorse, inserita in un contesto familiare, sociale e territoriale.

Si fa strada un'idea di assistenza rinnovata, non più pensata come un intervento riparatore del disagio ma come protezione sociale attiva, luogo di prevenzione delle cause che hanno determinato il disagio ma, soprattutto, di promozione e valorizzazione della persona. In questa Legge si affermano principi e valori costituzionali, quali solidarietà sociale, dignità sociale, diritto all'assistenza, cittadinanza attiva, sussidiarietà.

Il concetto assistenzialistico dell'inter-vento sociale viene superato, l'utente non è più inserito in categorie definite ma in un intervento sociale che riconosce la centralità della persona.

La Pandemia, irrompendo con forza nel-la vita della nostra comunità, ha costretto tutti/e noi ad una riflessione sulla realizzazione concreta di un sistema di di-ritti sociali per tutti, ha segnato un momento in cui abbiamo cercato di capire, rispetto a questa Legge, quali obiettivi sono stati raggiunti, a ragionare sulle occasioni mancate ma anche a porci nuovi e buoni propositi, a ragionare sul-le opportunità che arriveranno e chieder-ci se saremo pronti/e a coglierle.

Ecco che gli interventi non possono es-sere più pensati come interventi emergenziali, occorre restituire il potere alla persona, prevedere la sua attivazione e quella della nostra comunità; occorre pertanto favorire l'affermazione del di-ritto di cittadinanza, una dimensione attiva in cui tutte le persone vedano riconosciute le proprie capacità. Tanta strada c'è da fare perché i diritti sociali siano esigibili da tutti/e, si superi l'idea di prestazioni e interventi assistenziali-stici per arrivare a un sistema di diritti sociali per tutte le persone. Se in questa pandemia avessimo avuto il sistema di-segnato dalla legge 328/2000, forse i/le cittadini/e fragili e vulnerabili non sarebbero rimasti/e indietro e avremo potuto garantire servizi integrati per persone e famiglie in difficoltà. Chi poi non è rimasto/a indietro è comunque rima-sto/a dov'era con le proprie fragilità e i propri bisogni irrisolti. La pandemia ha reso più evidenti e con conseguenze più accentuate diseguaglianza e ingiustizia sociale a discapito delle persone fragili. Non sono mancati gli interventi emergenziali, per esempio i buoni alimentari e piccoli sussidi economici, pensati dallo Stato e dalla Regione, ma il dolore della solitudine e dell'emarginazione non può essere alleviato con un bonus alimentare. I diritti delle persone devono essere garantiti con servizi adeguati, non con interventi riparativi e risarcitori, devono essere tutelati con interventi di accompagnamento e di emancipazione dallo stato di difficoltà. Di questo hanno bisogno le persone e per far questo occorre prendersi cura; accompagnarle ai tempi del Covid è stato ancora più difficile di quanto non lo sia in tempi normali, i bisogni manifestati sono tanti e talvolta le risposte sono inadeguate. Forse è necessario tornare al principio, all'art. 1 della L. 328/2000 nella quale si legge: «La Repubblica assicura alle persone e alle famiglie un sistema integrato di interventi e servizi sociali, promuove interventi per garantire la qualità della vita, pari opportunità, non discriminazione e di-ritti di cittadinanza, previene, elimina o riduce le condizioni di disabilità, di bisogno e di disagio individuale e familiare, derivanti da inadeguatezza di red-dito, difficoltà sociali e condizioni di non autonomia, in coerenza con gli articoli 2, 3 e 38 della Costituzione».

Promuovere l'accesso, l'esigibilità e tu-tela dei diritti sociali in quanto diritti di cittadinanza, deve essere nostro punto di partenza e di arrivo.

Gli/le assistenti sociali sono tra i pilastri di questa idea di politica sociale. Perché si possa accedere ai servizi e prestazioni, soprattutto in questa fase di emergenza, occorre avere uffici e servizi strutturati, così come progetti alternativi da realizzare; questa deve essere considerata una priorità. E se è vero che i/le professionisti/e del sociale non garantiscono solo prestazioni ma accompagnano le persone verso i loro diritti, è necessaria stabilità nei servizi, condizione indispensabile per le persone e gli operatori del sociale. Il precariato, dovuto a scarsa attenzione verso i professionisti e verso le persone che si rivolgono ai servizi, non può più essere tollerato. I problemi delle nostre comunità richiedono continuità negli interventi e necessitano della presenza attiva e costante di operatori e operatrici con capacità progettuali e costruttori di proposte accanto agli organi istituzionali e ai cittadini. Ripensiamo quindi un nuovo modello di politica sociale che con l'ausilio di servizi ponga al centro la dignità della persona e riconosca la centralità delle comunità, come portatrici di risorse, non solo di fragilità.

L'intervento di un operatore sociale impegnato sul campo. Può essere utile per valutare e colmare le carenze che, nel corso degli anni, si sono accumulate nel nostro sistema socio-assistenziale. Il settore dell'assistenza sociale è uno dei compiti più alti, e difficili, assegnati ai Comuni e alle comunità locali.