Focus: Contributo di Angelo Carboni

Desidero innanzitutto ringraziare Vincenzo Mura per questo ennesimo dono fatto anche alla nostra comunità, che ricorda con tratti nostalgici, e con forti e reali accenti del declino che stanno coinvolgendo pure il nostro paese.
Devo premettere da subito che, purtroppo, non ho il dono della sintesi né tantomeno le capacità del critico letterario, tra le poche potenzialità rimaste ci sono la parola dal suono metallico, il pensiero e i sentimenti, vi chiedo perciò quell'anticipo di simpatia e pazienza, senza le quali risulterebbe complicato qualsiasi tentativo di comprensione, e questo intervento potrebbe, a chi ascolta, lasciare il retrogusto di parole di circostanza e fini a se stesse. Sono inoltre convinto che nessun commento, per quanto dettagliato e profondo, possa uguagliare la bellezza dei messaggi, che l'autore, e il poeta in particolare, intende proporre. Partendo da tale consapevolezza, mi appresto in punta di piedi a dare il mio semplice contributo.
Devo ammettere di conoscere solo qualcosa della produzione poetica di Mura e di essermi soffermato principalmente sulla lettura di alcuni suoi romanzi; perciò, mi sono avvicinato a questa raccolta di poesie con estrema curiosità e interesse.
Come capitato a me, un primo e frettoloso approccio alla lettura di questa raccolta, potrebbe dare a qualcuno l'impressione di un tipo di poesia estremamente elaborata ed artificiosa. Rileggendo i componimenti nel silenzio e con attenzione, si ha presto l'opinione di trovarsi davanti a dei versi frutto di intenso travaglio personale, culturale, politico, sociale, insomma di una poetica esistenzialmente vissuta e sofferta, elaborata, oltre che col cuore e pensiero, con fervida e feconda immaginazione, abbondante e accurato utilizzo di figure retoriche e, nonostante l'impiego del verso libero, sorprendente musicalità.
Lo stesso titolo, del quale hanno parlato e spiegato in modo efficace e completo, sia il poeta ed amico di tante battaglie del nostro, Giovanni Fiori, e dalle iniziali dell'articolista, credo, Salvatore Multinu, dimostra pienamente la complessità dei temi. Non intendo perciò ripetere quanto da loro, seppure in maniera esauriente e incisiva, scritto. Mi soffermerò sull'analisi di alcune poesie e versi che più mi hanno colpito, perché ogni componimento avrebbe bisogno di un commento analitico a sè stante.
Risalta immediatamente la forza espressiva della parola, la sorprendente efficacia dell'aggregazione di termini e immagini discordanti.
Inoltre, Mura fa poco uso di punteggiatura, quasi a non voler interrompere il flusso del pensiero e far cogliere, prima a se stesso, solo in seguito al potenziale lettore, perché ogni opera letteraria ha dei destinatari, l'essenza del messaggio.
Il risultato è una poesia di figure e rappresentazioni sparse verbali, come il molteplice impiego di forme retoriche, visive, la policromia di colori, in particolare autunnali, crepuscolari e marini, che sembrano usciti dal pennello di un abile pittore, olfattive, come il profumo delle zagare e gelsomini in fiore, il gusto salmastro delle onde e quello del fumo acre del caminetto...
L'insieme di questa silloge poetica ritrova la sua unità in quella che viene chiamata poesia delle immagini e segni, che nel nostro, va assemblata come in un collage, in modo da riuscire a cogliere l'intero significato. Mura descrive con serenità e la saggezza dell'età, nonostante il forte tormento interiore, perché, come sosteneva, il già citato dai precedenti relatori, Dylan Thomas, il poeta deve sentirsi in pace con tutto, eccetto che con le proprie parole e pensieri.
A proposito del suo e nostro paese, oltre ai ricordi nostalgici e dolorosi, come la tragica perdita del padre, dell'infanzia e giovinezza, in un ritorno alle radici, ne sottolinea l'inarrestabile e, purtroppo, attuale declino che, assieme al nostro centro, interessa gran parte delle zone interne, con versi accorati:
«Immensi ed eterni credevo i miei villaggi ora in totale abbandono. Anche le ombre sono fuggite dalle nostre contrade» «Cresce il muschio dell'abbandono..., le casupole diroccate sono fantasmi svuotati dai lustri e dalla fuga dei vivi».
Ma, il paese, come qualsiasi centro sardo, ha tesori, storie, particolarità e segreti ancora chiusi, come nel guscio di una lumaca, nella penombra da riportare alla luce, che noi tutti abbiamo il dovere di valorizzare, se vogliamo liberarlo dal rischio del cupo oblio e desertificazione.
Sono evidenti le posizioni ambientaliste: «I torrenti inquinati hanno trasportato alla foce del nulla illusioni umane e utopie di ultraterreno», che oltre alla devastazione della terra, sembrano ipotizzare l'aridità spirituale delle persone, che mi ha riportato alla mente La terra desolata di T. S. Eliot, dove «vagano e s'affannano pensieri anarchici senza dio nè patria nel disordine ordinato del caos...». Un tema che ritornerà frequentemente nella poetica di Mura.
Emergono anche nei suoi versi l'impegno politico giovanile, poi di educatore, impegnato e convinto politico, militante del partito comunista di un tempo, con tutto il suo carico di ricerca di uguaglianza sociale, democrazia e libertà, del sol dell'avvenire, che diventano per lui utopie inarrivabili, lontane dal sorgere e persino impossibili da ipotizzare. Sant'Agostìno, a proposito di utopie, sosteneva che la nostra vita è una ginnastica del desiderio, che a volte riusciamo a concretizzare, e più spesso no.
La delusione e rimpianto per gli obiettivi e sogni mancati viene espressamente sottolineata in queste parole: «Andavamo ignari verso l'ignoto ad interrogarlo senza aspettarci risposte. Immense erano le nostre speranze in terra... e subito venne il dopo... con errori e utopie incompiute», versi che sottolineano il rimpianto per le opportunità mancate e, per diverse ragioni, disattese. La consegna alle tarme e nebbie dell'oblio dei gonfaloni ammainati, e il vento del tempo ha lacerato le bandiere di ragnatela che in giorni lontani ci sembravano stendardi invincibili, lo trasforma, col tradimento degli ideali passati, in una vita dettata dall'indifferenza, votata alle miserie del quotidiano..., come un silenzioso profeta dell'abitudine.
In Piccolo borghese, più che per se stesso, mi è parso di leggere come un invito a scrollarci di dosso il sonno dell'abitudine e dell'indifferenza, con la sensazione che intenda l'esistenza come viaggio nell'intelligenza della verità, giustizia e libertà.
Leggendo questi versi, ho pensato al rammarico nei confronti dell'evoluzione sociale e culturale, del cambiamento di prospettive della sinistra che, quasi 70 anni fa, Pasolini esprimeva in Le ceneri di Gramsci. Il critico letterario Carlo Salinari commentando questa raccolta poetica, sente in Pasolini la disposizione del l'intellettuale scisso, separato tra mente e viscere, che vede la fine della civiltà borghese individualistica, ma non riesce ancora a prefigurare il nuovo. Mi è parso di cogliere in quest'affermazione le stesse ansie e paure di Mura, infatti dopo anni dibattiamo sugli opposti moralismi della destra e sinistra, senza sapere sinceramente da che parte stare, in una società dove regnano, sempre più spietatamente il mercato, l'individualismo e la tecnologia, che generano, per usare le parole del nostro, il verme sinuoso dell'indifferenza.
Sono questi, a mio giudizio, la delusione e disincanto di Vincenzo Mura, che vede la fine e il tradimento degli ideali per i quali la sua generazione ha lottato, trasformarsi in utopie, se non nel tetro panorama, verso cui sembriamo avviati, della distopia. Mura indica bene questa convinzione in diverse poesie, dalle quali ho selezionato questi versi, sui quali non è necessario alcun commento: «Vado sotto l'immensità del cielo stralunato e smanioso di futuro e trascendenza. Vado anonimo sonnambulo senza storia e senza tempo» «Vorrei celebrare la mia transumanza terrena senza una lacrima con due versi di silenzio che un giorno saranno scritti per il futuro eterno». «La serenità mi segna la strada che porta verso l'immensa radura di pace terrena e trascendenza di umano». «La grande sfida è vivere ed essere felici... di vivere. Infinite sono le ragioni per cantare l'elogio dell'esistere». Chi di noi non ha dubbi sull'aldilà? Le opzioni, in ogni religione, si riducono a due, o c'è il nulla o la vita eterna. Vincenzo Mura impiega più volte il termine trascendenza, nelle sue varie accezioni, la trascendenza non è un termine ambiguo nè classificabile in categorie ideologiche, anzi è l'esatto opposto dell'ideologia, rappresenta l'anelito all'infinito, della ricerca di Dio. «Non ho più voglia e forse nemmeno la forza per rincorrere versi e tentare la cattura di troppi pensieri latitanti. Utopia è un nome che più non conosco, il disincanto è diventato il mio credo.» Il contesto immaginifico, tutto squisitamente onirico, fa pensare al sogno, agli ideali, illusioni e chimere dell'immaginazione svanite, perdute, alle notti, alcove dei sogni, gemiti, sospiri e amori mai domi, a mio parere, sia sensuali che sacri, al desiderio infantile di voler essere mago, e quello più maturo, devo dire perfettamente riuscito, di diventare poeta e poter, a suo modo, cambiare la realtà sociale.
Altri temi presenti in questa splendida raccolta sono i toni quasi drammatici del dolore di una madre che ha perso il figlio, quello dell'operaio che non riesce a pagare gli studi della propria figlia, il cinismo che si è ormai impadronito della gente, l'indifferente far finta di non vedere la mano tesa del migrante, la fame nel mondo, il silenzio, la solitudine..., che vive sulla propria carne e riesce a far diventare metafore universali. La sistematica distruzione della terra, inquinamento, guerre, la poca fiducia nel futuro, l'agrumeto sottocasa cancellato per far posto a colate di cemento, palazzi che sembrano toccare il cielo e giungle di antenne, mi ha riportato alla mente l'affermazione di uno dei più grandi filosofi e pensatori russi, Vladimir Solov'ev, morto nel 1900, «il progresso è un sintomo della fine». In Diluvio vede il futuro della società a tinte piuttosto fosche, ancora una volta per responsabilità umane:
«Si profila all'orizzonte un nuovo diluvio universale... e difficile mi sembra iindividuare un moderno Noè che costruisca l'arca per ripopolare la terra. È urgente fermarsi ai limiti dell'abisso della decenza morale e dell'imbarbarimento di quanto che ci hanno ammaestrato a considerare civiltà e progresso». Mentre il poeta gallese Dylan Thomas, col quale ha tanto in comune, spinto dalle sue convinzioni puritane, afferma «io costruisco la mia arca muggente con tutto l'amore che posso».
La fiducia nella speranza fa dire a tanti che nulla è più realizzabile delle utopie; perciò, il poeta non può né deve arrendersi al destino pagano: «galleggio ancora e spero in una personale rivoluzione..., con bandiere popolane di straccio dispiegate al vento».
La risposta di Vincenzo Mura a questa società che sembra aver smarrito il senso del perdono, sopraffatta dall'invidia, indifferenza, inquietudine, almeno da noi, sazia e disperata, è «Felicità è amare l'amore». Sono certo che parli di un'amore senza calcoli nè misura e gratuito, infati la mancanza d'amore genera nella società distanze incolmabili.
Intendo porre fine a questo lungo intervento, sperando di non avervi annoiati, coi suoi versi: «Eppure continuo a vivere, a sorridere e ad amare» e «Mi sembra il momento di tentare versi!»
A medas annos tìu e mastru Pitzè, chin saludu, paghe e poesia sulenadora!
Angelo Carboni