Focus: Introduzione di Francesco Cossu

Saludu e trigu, a totu e a dognunu
Vincenzo Mura è nato a Pattada nel 1935 e vive a Sassari.
Uomo e intellettuale di grande levatura, è poeta e scrittore finissimo in due lingue, in sardo e in italiano ed è anche autore di romanzi. Lo ringrazio per aver accolto il suggerimento di Carmela Arghittu e di Gianni Tola di conferirmi l'onore di presentare, qui, nel suo paese natale, la raccolta di poesie in lingua italiana dal titolo Utopie… e altro ancora, del 2023 (pubblicata presso la casa editrice Soter, di Villanova Monteleone.) Si tratta dell'ultima sua fatica in ordine di tempo, dove si conferma come uomo e poeta di grandissima sensibilità, "di grande tempra", scrive Giovanni Fiori nella prefazione.
Voglio partire da una prima considerazione: siamo a Pattada, a pochi km da Ozieri, nel bel mezzo del Logudoro. Insieme a tantissimi altri paesi di area linguistica logudorese, sia Pattada che Ozieri hanno rappresentato il cuore della poesia e della letteratura in lingua sarda fin dalle sue origini documentate.
Prof. Nicola Tanda, filologo di statura europea, che per moltissimi anni è stato presidente della Giuria del Premio Ozieri, era solito affermare che niente nasce a caso, tantomeno la poesia.
Pensando a poeti del calibro di Antonio Palitta, Pietro Mazza, Giovanni Camboni, Giuseppe Monzitta e Vincenzo Mura, ultimo solo in ordine di tempo, non è difficile dedurre che siano cresciuti in un terreno ricchissimo di humus per i meriti dei grandissimi poeti di Pattada del Settecento e dell'Ottocento, che hanno rappresentato il meglio della letteratura sarda di quegli anni che, a loro volta, avranno avuto qualcuno che li ha preceduti, anche se non c'è alcuna documentazione che lo attesti.
Sto parlando di Pietro Maria Pisuciu, meglio noto come Pietro Pisurzi, di padre Luca Cubeddu e di un altro grandissimo poeta dell'Ottocento, scoperto e messo nella giusta luce grazie alle pubblicazioni delle sue cantones ad opera di Enzo Espa e di Angelo Carboni Capiali. Questo poeta è Giovanni Asara conosciuto con lo pseudonimo di Limbudu. A questi "grandi" aggiungerei Giovannangelo Arcadu, Ciddoi, ottimo poeta improvvisatore, amico dei grandi cantadores di Ozieri, Giuseppe Pirastru, Antonio Cubeddu e Giuseppe Morittu. Lo stesso Antonio Cubeddu, che ha dato onore e fama alla città di Ozieri, e suo padre Giovanni, poeta dell'Arcadia nonché ottimo improvvisatore, erano, di origine pattadese.
Questo per dire che Vincenzo Mura, come pure gli altri poeti di Pattada del Novecento, non sono dovuti al caso, ma ad una terra che ha respirato aria di alta poesia, ad una terra benedetta dalle Muse.
Un'altra considerazione mi pare importante per dare maggior risalto alla poesia di Vincenzo Mura: fin dai suoi anni giovanili ha certamente conosciuto e vissuto le innovazioni promosse dal Premio Ozieri di letteratura sarda, il quale ha segnato il passaggio dall'oralità alla poesia di meditazione, a taulinu e de pinna, come si diceva allora, e ha promosso lo svecchiamento dei canoni della tradizione poetica, per incoraggiare un diverso modo di fare poesia, più legato alla vita e più rispondente ai bisogni culturali di una società in rapida trasformazione, nel passaggio dalla civiltà contadina all'affacciarsi della civiltà industriale anche nella nostra Sardegna.
Nei primi anni cinquanta del secolo scorso, nei nostri poeti erano ancora radicati moduli e contenuti di una poesia di maniera, retorica, troppo spesso piagnona, che grondava nostalgia per un'epoca d'oro vagheggiata ma non reale, quale era stata l'Arcadia che, in Sardegna, perdurava ancora, quando nel resto del Continente era stata ormai superata.
Vincenzo Mura ha certamente tratto beneficio di questo spirito di innovazione che ha avuto inizio grazie a Tonino Ledda, fondatore e segretario del Premio Ozieri, a Francesco Masala, secondo presidente dal 1957, seguito dopo alcuni anni da Antonio Sanna e infine da Nicola Tanda, per citare i maggiori protagonisti dello svecchiamento della poesia in Sardegna e di una vera rinascita della letteratura che ha abbracciato anche il teatro e la narrativa.
In questo senso mi pare di poter affermare che Vincenzo Mura è figlio del Premio Ozieri, come lo sono Giovanni Fiori, Antonio Palitta e Giovanni Camboni, cui voglio aggiungere un altro bravissimo poeta, non di Pattada, Giovanni Maria Cherchi, che con Vincenzo Mura ha condiviso, oltre all'amore per la poesia e per la letteratura, anche una lunga militanza politica animata da profonda tensione ideale, dae amore a cristinos -come si dice a Ozieri- che li ha visti spendere e consumare le loro migliori energie. Da aggiungere che entrambi, Vincenzo e Giommaria hanno condiviso un intero mandato dell'amministrazione della Provincia di Sassari, dove Giommaria Cherchi ricopriva la carica di presidente e Vincenzo Mura quella di assessore alla cultura.
Se nelle poesie di Antonio Palitta è palpabile il percorso poetico che dalla tradizione lo ha portato all'innovazione, nelle liriche di Vincenzo Mura, come pure in quelle di Giovanni Camboni non c'è traccia di nostalgie arcadiche ma vi si respira un'aria di assoluta novità, tanto nei contenuti che nei procedimenti formali, che sono anche frutto di molto studio e di conoscenza della grande poesia nazionale e non solo.
I versi di Vincenzo Mura, compresi quelli in lingua sarda, oltre che una forte ispirazione, manifestano una totale consapevolezza e padronanza sul piano formale, nella scelta delle parole e nell'elaborazione di un linguaggio simbolico veramente personale, che contraddistingue il suo stile e lo fa riconoscere; un linguaggio ricco, efficace, capace di scandire un proprio ritmo, una propria metrica, un'armonia originale e compiuta, da sembrare talvolta scaturita dalle note di un pentagramma, altre volte dalla tavolozza di un pittore.
Conosce appieno le figure retoriche, di cui Giovanni Fiori ha parlato ampiamente nella prefazione e di cui il nostro poeta fa un uso sapiente, essendo, le figure retoriche, pane quotidiano per i poeti con l'iniziale maiuscola.
Vincenzo Mura mostra nei suoi versi grande finezza e sensibilità poetica; sa dare corpo a immagini e pensieri che denotano creatività, fantasia, sentimento, una grande umanità, un proprio credo, una straordinaria tensione ideale e il totale coinvolgimento personale nell'impegno in prima persona per dare dignità all'uomo, rendere bella la vita e migliorare il mondo. Per quanto è dato capire, tale impegno e tali sentimenti hanno animato l'intero arco della sua vita in un crescendo fino al momento presente.
Nel contempo, le sue liriche fanno trasparire una grande, straordinaria capacità espressiva, che non lasciano indifferente il lettore ma lo costringono quasi a riflettere e a lasciarsi coinvolgere nella mente e nel cuore.
Cosa più importante, al centro della sua poetica, ma anche della sua narrativa c'è l'uomo, la vita dell'uomo nei più diversi aspetti. Lo ha sottolineato così bene Giovanni Fiori nella prefazione a queste poesie come pure nella prefazione a Poesias sèberas, cui ho accennato prima.
In Vincenzo Mura la dimensione sociale e comunitaria ha un'importanza rilevantissima. Egli sa guardare a se stesso come uomo che vive insieme con gli altri uomini, che gioisce canta e si diverte insieme con gli altri, che soffre con gli altri, che sogna e lotta con gli altri perché al centro ci sono le aspirazioni, i diritti, oltre che i doveri, i bisogni fondamentali di ogni essere umano, che sia di Pattada, della Sardegna, dell'Italia o del mondo. Non è un caso che in tante liriche prevalga il noi e non l'io, perché non ama l'individualismo e l'egoismo egocentrico ma la dimensione del vivere sociale.
Quando parla di se stesso, in prima persona singolare, spesso lo fa ammettendo delusioni e sconfitte, manifestando con coraggio e assoluta franchezza, sempre però a testa alta, il rammarico per non essere riuscito a fare abbastanza, per gli esiti sperati andati a vuoto, per le utopie incompiute, per i sogni e le illusioni cadute e sepolte, ma sempre con lo sguardo rivolto al futuro e a nuovi sogni e utopie.
Per quanto mi è possibile, nelle cose che vado ancora a dire, cercherò di discostarmi dal già detto da Giovanni Fiori nella prefazione, anche se non potrò esimermi dal fare riferimento ad alcune affermazioni espresse magistralmente da lui. L'opera di Vincenzo Mura si presta ad analisi che consentono una messa a fuoco da diversi punti di osservazione. Consentitemi solo poche esemplificazioni.
La presente raccolta di poesie Utopie… e altro ancora è molto simile nella veste tipografica ad un'altra sua raccolta in lingua sarda con traduzione italiana a fronte Poesias sèberas, del 2010. Nella terza di copertina, entrambi i libri, riportano la stessa foto che lo ritrae con uno sguardo intenso, da sognatore che sembra fissare orizzonti lontani nello spazio e nel tempo e da cui traspare, un animo nobile, direi anzi un'anima bella, come un'anima bella lo è Giovanni Fiori.
La prefazione redatta da Giovanni Fiori sarei pronto a sottoscriverla per intero. Non posso che esprimere compiacimento e gratitudine all'amico prefatore, uno dei poeti sardi più grandi di ogni tempo, nella poesia di meditazione, fra quanti legati agli schemi metrici della tradizione.
Il ritratto che fa di Vincenzo Mura mi ha consentito di conoscerlo più da vicino come uomo, come poeta e come politico e amministratore della cosa pubblica operoso e onesto, in un periodo in cui nel proprio operare sia pubblico che privato, pur nel rispetto delle scelte personali, non erano consentite "distrazioni"di sorta… L'etica, la rettitudine comportamentale erano valori sacri e inviolabili. E consultando la storia, continua Giovanni Fiori, si potrebbe fare un raffronto diretto con il livello e gli atteggiamenti dell'attuale classe politica non solo sarda.
Quanto scritto nella prefazione fa di Vincenzo Mura un poeta ancora più interessante e credibile.
La parola utopia, oltre che nel titolo, figura in una quindicina di liriche, e tante volte tornano alcune altre parole che definirei parole chiave, per la loro pregnanza semantica: stroria, sogno, amore, ombra, pensiero, cuore, illusione, futuro, indifferenza, felicità, poesia e poeta, quasi tutte ora al singolare ora al plurale, anche con toni e sfumature diverse.
Alcune volte tornano le parole democrazia, un volta con l'iniziale maiuscola altre volte con la minuscola; anche la parola Verità figura con l'iniziale maiuscola; un paio di volte torna la parola trascendenza. I sostantivi utopie, illusioni, sogni e amori al plurale, si ritrovano più volte associati all'interno di una stessa lirica; in Canti senili (pag 44) mano mano che fluiscono i versi, il poeta passa dalla prima persona plurale, cioè dal noi di quanti hanno condiviso idealità e lotta, all'io, alla prima persona singolare, per esprimere l'amarezza di non aver saputo lasciare vere testimonianze e imprimere memorie capaci di durare nel tempo, oltre a manifestare un senso di impotenza per non essere riuscito a svelare nessuno dei misteri del suo essere nel mondo e dei perché eterni della vita:
Nella collina / grigia del tempo / in sentieri di cenere / e rosse polveri riarse / abbiamo visti soccombere / le nostre utopie / e con le illusioni / le magie e i sogni / che in giorni lontani / divamparono in passioni / e amori festosi.
Nella poesia Rinascere (pag 78) esprime ancora delusione e amarezza per utopie e amori impossibili, per cercare di voler essere semplicemente uomo, ma la tensione ideale resta ancora viva, come viva resta la carnalità, tanto da voler rinascere nella vecchiaia una volta ancora e fare persino sberleffi al tempo in fuga.
In un'altra lirica, I colori dell'infanzia (pag 96), è ancora il noi che prevale dando ai versi una dimensione sociale che in Vincenzo Mura rappresenta il suo essere con gli altri e per gli altri. L'uomo e la vita sono ancora una volta al centro della sua ispirazione.
In Polvere di senilità (pag 102) in prima persona esprime ancora rammarico per le illusioni, i sogni e le utopie ridotte a brandelli: Nella polvere della senilità / tumulo l'ultima utopia / mentre illusioni e sogni / sventolano come stracci
Nella poesia Natale 1943 (pag 61), sotto un paesaggio innevato, privo di allegria, ricorda la morte del padre, ucciso da una guerra non sua ed il dolore immane che avvolge la famiglia; lui, Vincenzo scopre il mondo / crollare in macerie di nostalgia e, ora per allora, non dispera ma apre il cuore alla speranza: forse voleranno ancora le rondini / in cieli di rivolta e trionfi…/ e io tento di riprendere il dialogo / con sentimenti, miti e utopie / a testa alta nella strada del futuro.
In Giovinezza (pag 17), i verbi sono ancora in prima persona plurale, ad esprimere la bellezza e il valore della dimensione sociale con le sue aspettative e speranze ma anche con errori e utopie incompiute:
Andavamo ignari /verso l'ignoto / ad interrogarlo / senza aspettarci risposte.// Del tempo / ancora / voci e trastulli si ignorava.// Dietro ogni angolo / si nascondeva il futuro / e noi gli andavamo incontro / a testa alta / per fissarlo negli occhi // Immense erano / le nostre speranze in terra… / e subito venne il dopo… / con errori e utopie incompiute.
In Serraglio (pag 19) i versi propongono alcune riflessioni su se stesso che manifestano una dicotomia di sentimenti in contrasto appunto gli uni con gli altri, tra la volontà di scuotersi dall'immobilismo in cui si sente asserragliato e la tentazione di crogiolarsi nell'insubordinazione, che vorrebbe distoglierlo dal compiere quanto invece dovrebbe, in tutta coscienza. Questa lirica come pure alcune altre mette in evidenza il rammarico di non essere riuscito a fare abbastanza.
i pensieri poetici sono sinceri, severi e persino impietosi, ma solo verso se stesso. Dice bene Giovanni Fiori che Vincenzo Mura e poeta di impegno civile, uno che ha il coraggio di schierarsi, di non rimanere a guardare e di mettere sempre l'uomo al centro delle sue liriche.
Nell'ispirazione, si legge ad un certo punto della prefazione, il nostro poeta attinge agli anni della giovinezza, e persino dell'infanzia. "la sua poetica spesso è un riandare e venire intorno al passato, al vissuto… un continuo ritorno ai luoghi, alle pietre, alle radici, all'anima e alle battaglie della sua gente, condividendone sacrifici, aspirazioni, sofferenze e speranze. Ed anche amarezze e rinunce, angosce e delusioni, senza nulla concedere alla nostalgia, al rimpianto passivo, sempre alla ricerca di strade nuove, con l'impegno caparbio a continuare a sognare e a lottare".
In queste righe, in maniera magistrale Giovanni Fiori coglie il senso profondo dell'intera produzione poetica di Vincenzo Mura.
Siamo di fronte a un grande poeta che onora la tradizione e la fama del paese che gli ha dato i natali. I suoi versi si rivelano straordinariamente forti ed efficaci, sfidano quasi l'intelligenza del lettore e lo spronano a non stare alla finestra, a schierarsi, a prendere posizione.
Trovo questo di buon auspicio per i giorni non proprio rosei che tutti insieme, nel mondo, stiamo attraversando. Sono versi partoriti in muta ona, che arricchiscono il patrimonio letterario dell'intera Sardegna e aggiungono una stella di prima grandezza al firmamento poetico di Pattada.
Per chi è credente nel Dio della trascendenza, sa muta ona è l'ispirazione poetica che è un dono dello Spirito Santo, un carisma dato agli uomini per l'utilità comune. (1 Cr 12). Sono fermamente convinto che Vincenzo Mura abbia fatto buon uso di questo carisma.
Chiudo esprimendo la mia gratitudine a Vincenzo Mura per la sua stupenda raccolta di poesie e l'augurio che si riprenda presto per l'intervento che ha dovuto subire e che gli ha impedito di essere presente, a sua moglie signora Adriana Metrano che lo ha rappresentato, al caro e stimato amico prefatore Giovanni Fiori, alle bravissime lettrici Carmela Arghittu e Angela Falchi, a Gianni Tola, che, insieme all'Associazione culturale "Rinascere" rappresentata da Pinuccio Deroma, hanno preparato questo evento, un saluto e un ringraziamento al numeroso pubblico presente, un saluto ringraziamento ad Angelo Carboni che ha inviato una stupenda "recensione" sull'opera Utopia… e altro ancora.