Ginetto Sotgia: uno spirito anarchico

16.03.2022

Ginetto Sotgia era figlio della maestra Dessì, famosa perché educava le cosiddette Giovani italiane del fascismo; al contrario dei suoi fratelli - il più famoso dei quali era Vladimiro Dessì - che erano dei noti antifascisti e degli eccellenti orafi.

Ginetto si arruolò giovanissimo nell'aviazione, dove raggiunse il grado di tenente pilota. Si racconta che la mamma, all'ingresso della scuola e prima dell'inizio delle lezioni, facesse recitare ai suoi alunni la preghiera: «Madonna di Loreto, proteggi tutti gli aviatori italiani, e il tenente pilota Ginetto».

È quasi leggendario il primo volo che fece il 12 settembre 1943, subito dopo l'armistizio, quando con un altro amico, Efisio Racis, rubò un aereoplano Caproni e portò in Sardegna un carico di compagni antifascisti. Fu un volo tragico perché i tedeschi avevano minato il campo di aviazione di Chilivani e gli spararono contro, uccidendo il compagno di volo e pilota. Lui riuscì a fuggire. Aderì subito al Partito comunista italiano. Inizialmente lavorò in banca, ma presto si licenziò. Capeggiò l'occupazione delle terre del Goceano; ovviamente era un'avventura senza futuro.

Per un periodo divenne funzionario del Partito comunista e andò a lavorare a Cagliari. Ma - com'era nel suo carattere che gli aveva fatto lasciare il lavoro in banca - non accettava né disciplina né nomenclature, e infatti dopo un po' lasciò le funzioni di dirigente, pur restando nel Partito. Era un battitore libero.

Si dedicò subito, quindi, alla sua vera e illuminata passione: la pittura. Era un formidabile caricaturista. È famoso l'episodio della prima visita che fece Segni per inaugurare la sede della Maternità e Infanzia (exONMI), in Marchittu: nottetempo, svegliò un gruppo di compagni che, armati di pennelli e di grandi bidoni di Ducotone e calce bianca, da S'Enaittera, cioè dall'ingresso del paese, fino alla sede dell'ONMI, riempirono la strada di falce e martello e di frasi irridenti nei confronti dei democristiani, che lui chiamava forchettoni.

Per molto tempo rimase disoccupato, e dipingeva come un forsennato da mattina a sera. Poi tentò di emigrare, ma non riusciva a ottenere il passaporto. Alla fine incontrò una turista svizzera, Ester, con la quale ebbe una bruciante relazione (il cosiddetto colpo di fulmine): così si sposò e riuscì ad andare in Svizzera. Lasciò la moglie quando scoprì che i genitori erano degli ugonotti, ma uno dei motivi per cui avvenne la separazione è che - come per la banca e per il Partito - non accettava nessun tipo di vincolo.

In Svizzera, però, ebbe modo di esprimere il suo talento: vinse infatti il concorso e divenne scenografo del Teatro Opernhaus di Zurigo. Nel clima di "caccia ai comunisti" tipico dell'immediato dopoguerra, Ginetto Sotgia cercava riparo, spesso, presso la Libreria Italiana di Lisetta e Sandro Rodoni, frequentata dagli intellettuali antifascisti residenti in Svizzera. Molto attivo nella Federazione dei Circoli dei sardi, propose di intitolarne uno a Efisio Racis, l'amico ucciso a Chilivani.

Rimase sempre follemente innamorato, al limite del fanatismo, della Sardegna come si rileva anche dai suoi quadri. Organizzò a Zurigo una grande mostra che ebbe un enorme successo. L'amore per la Sardegna è testimoniato anche dal fatto che chiamò Josto il primo figlio (forse in onore del figlio di Amsicora, come il padre protagonista della rivolta contro l'invasione romana).

Quando raggiunse l'età della pensione lasciò la Svizzera, ma rimase legato ai figli, Josto e Laura, che spesso venivano a trovarlo a Sassari dove si era stabilito, e che gli avevano dato tre nipoti: Pre-mila, Anisha e Delia.

Morì nella vigilia di Natale del 2004, all'età di 83 anni, nella Casa di riposo di Pattada. Fu sepolto nel Cimitero di Pattada, davanti a un gruppo di giovani che lo salutarono col pugno chiuso e un urlo di combattimento quasi disperato.