Giovanni Maria Demarcus: anticonforista mite

«Ho sentito che a Pattada la chiamano con un nomignolo: "Su Fanciullu"…».
«Io mi chiamo Giovanni Maria Demarcus».
«Sì, ma mi dicono che …».
«Io mi chiamo Giovanni Maria Demarcus».
Per noi bambini de su ighinadu 'e Santa Rughe era un amico più grande. Molto più grande. Lo vedevamo tutti i giorni quando rientrava alla sera con il suo minuscolo asinello seguito dalle sue poche pecore, di colore diverso dalle altre pecore, che ricoverava nel seminterrato della sua casa. Si trattava di un evento che, sebbene quotidiano, ci appariva sempre nuovo.
Quando lo vedevamo apparire in s'istradone nou, sospendevamo i giochi e ci raccoglievamo davanti a casa sua per assistere al ricovero delle pecore. Appoggiati al muro della casa di fronte, in silenzio e immobili, ci disponevamo in maniera da non spaventare e disperdere le pecore. Ci salutava sempre cordiale e compiacendosi dell'interesse che suscitava in noi. Aveva fatto una scelta di vita particolare che, tuttavia, tutti i pattadesi rispettavano e comprendevano. Non potrei definire la sua esistenza in altro modo se non "essenziale".
Non aveva bisogno di nulla. Tutto ciò che gli occorreva per vivere lo ricavava dai sui terreni (frutta, vino, bietole; ancora oggi nella sua casa c'è un recipiente di ferro contenente una quantità imprecisata di mandorle), mentre il reddito gli proveniva dalle pecore che allevava con grande cura. Nonostante l'esiguità del suo gregge era socio della Cooperativa la Concordia e non mancava mai all'assemblea per l'approvazione del bilancio; né al successivo pranzo per tutti i soci all'Hotel la Pineta.
Era sempre vestito come vestono i pastori, ma in queste occasioni sfoggiava, sopra una camicia candida di bucato, un abito di velluto perfettamente conservato e un berretto che, a causa del poco uso, si presentava rigido perché non aveva potuto prendere la forma della sua testa; sembrava appoggiato con delicatezza sul suo capo per non deformarsi. Questo abbigliamento lo usava anche quando, la domenica, andava a sa missa primalza. Ma anche, un anno che non saprei indicare, quando venne candidato alle elezioni comunali. Forse col Partito Liberale. Lo vedevamo uscire, in orari per lui inconsueti, vestito di tutto punto per recarsi - abbiamo pensato in seguito - alle riunioni del gruppo che stava costituendo la lista elettorale. Non ricordo come andarono quelle elezioni e nei miei ricordi non c'è un seguito di questa storia.
Sebbene l'organizzazione della sua vita fosse, come già detto, "essenziale", non rinunciava a certi vezzi che non ci si sarebbe aspettati da Giovanni Maria Demarcus; per esempio: sebbene il suo veicolo fosse il piccolo asinello, aveva la patente e la rinnovava puntualmente applicandoci il bollo tutti gli anni. Ha posseduto anche due macchine: una seicento e una panda. Ma non lo abbiamo mai visto guidare; le vetture sono rimaste per anni parcheggiate a fianco della sua casa, di fronte alla canonica. Eviden-temente preferiva spostarsi a piedi o con l'asino.
A una età ragguardevole, se ne è andato dopo aver vissuto per diversi anni nella casa di riposo San Francesco, sicuramente meglio accudito di quanto non fosse in grado di fare personalmente. Ma sono sicuro che la sua libertà, la possibilità di sdraiarsi al sole primaverile delle sue campagne a fantasticare mentre le pecore pascolavano intorno a lui, la cura della sua piccola vigna e le altre faccende che quotidianamente sbrigava, gli siano mancate.
Ci ha lasciato un uomo buono ma resterà il suo ricordo, e noi che lo abbiamo conosciuto, tutte le volte che passeremo davanti a casa sua, lo rivedremo davanti alla sua porta aperta mentre le pecore fanno rientro nella "loro" casa. (ef)