Il disagio abitativo

13.03.2021

Mancanza di abitazioni e case disabitate: il problema italiano e sardo di un mercato incapace di autoregolarsi. Il tema dell'edilizia pubblica per le diverse fasce sociali. L'esperienza locale.


Il problema della casa, del diritto di abitare e delle possibili soluzioni, politiche, sociali, urbanistiche, è sempre stato in Italia un problema in sofferenza, nonostante oltre il 90% delle abitazioni esistenti nel nostro Paese risulti di proprietà privata: i numeri più recenti che confermano la peculiarità del mercato del mattone nazionale sono presenti nel rapporto Gli immobili in Italia 2019, redatto dall'Agenzia delle Entrate. Su 34.871.821 unità residenziali censite, ben 32.192.053 risultavano possedute da persone fisiche, con una quota pari al 92,3%.

Un dato molto particolare è quello relativo all'età dei proprietari: sono solo 1,5 milioni gli under 35, contro quasi 14 milioni di contribuenti tra 35 e 65 anni e 9,5 milioni ultra 65enni; siccome tutte le analisi più recenti concordano nel dire che la domanda di casa in acquisto da parte dei giovani resta molto debole (per mancanza di redditi stabili, soprattutto) è difficile ipotizzare che le compravendite di case possa crescere molto nei prossimi anni.

Altri dati, molto importanti, sul disagio abitativo esistente in Italia, relativo alle persone che vivono in situazione di sovraffollamento, in abitazioni prive di alcuni servizi e con problemi strutturali, si possono rilevare da una indagine del 2020 di Federcasa e Nomisma, che qui pubblichiamo, dalla quale risulta che proprio la Sardegna, insieme all'Abruzzo, presenta i dati percentuali più alti di disagio abitativo, rispetto a tutte le altre Regioni italiane.

Sulla base delle esperienze compiute nell'amministrazione dell'urbanistica nel nostro Comune negli anni '70, è possibile affermare che, per affrontare positivamente questo tipo di problemi, sono necessarie scelte urbanistiche ben precise e anche coraggiose, come quelle compiute a suo tempo nel settore sportivo e dell'edilizia economica e popola-re, quando l'Amministrazione guidata dal sindaco Sebastiano Satta, decise di approvare alcune varianti al Programma di Fabbricazione vigente, spostando la Zona Sportiva, per la quale esisteva già un decreto regionale di finanziamento per la realizzazione di impianti sportivi in Binza 'e cheja, a valle del paese in loc. Sa raga, e decidendo di destinare la stessa area alla realizzazione di un Piano per l'edilizia economica e popolare, scelta ritenuta importante per dare la possibilità a famiglie e ceti lavoratori di avere la disponibilità di una casa di abitazione, in presenza delle difficoltà derivanti dagli alti prezzi di mercato esistenti nell'ambito delle aree destinate alla realizzazione di lottizzazioni private .

Oggi, uno dei problemi, di carattere sociale ed economico, ma anche culturale, che ormai da decenni rappresenta un grave motivo di preoccupazione per il futuro dei piccoli centri, in particolare della Sardegna, è quello del progressivo spopolamento e dell'abbandono dei centri storici, con relativo decadimento dei nostri paesi, anche sotto l'aspetto dei legami sempre più sfilacciati che si verificano all'interno dello stesso corpo sociale e familiare.

Nella relazione introduttiva di un progetto di recupero di immobili residenziali da assegnare ad alloggi a canone sociale in un Comune della Sardegna il processo di rinnovamento culturale avviato dall'amministrazione considera il centro storico quale scena-rio privilegiato dove accogliere nuove attività economiche, residenze, e dove ospitare gli eventi culturali e le feste: «Il territorio ed il centro storico, infatti, conservano ancora lineamenti architettonici ed urbanistici di una tradizione antica, stratificata in secoli di storia, come le case d'abitazione realizzate con le tecniche costruttive tradizionali (pietra, terra cruda, legno). Tali elementi sono caratteristici del nucleo originario, anche se un'avanzata opera di sostituzione delle tipologie tradizionali ha compromesso l'omogeneità del contesto originario».

L'Amministrazione comunale si è posta allora l'obiettivo di stimolare una progressiva riqualificazione del patrimonio immobiliare urbano, pubblico e privato, attraverso azioni quali: recuperi di qualità e riconversioni di edifici fatiscenti o sottoutilizzati per aumentare la disponibilità di nuove abitazioni; offerta di case e di procedure di recupero ai concittadini non più residenti, con il fine di favorirne un reimpianto nel circuito economico e sociale del paese; ripresa delle attività artigianali legate al mercato del recupero edilizio di qualità, con particolare riferimento al saper fare tradizionale nei settori della lavorazione del legno, del ferro, della pietra, dei rivestimenti tradizionali, ma anche delle attività impiantistiche e tecniche; ripresa delle attività artigianali legate al territorio, con riferimento al riutilizzo di spazi funzionalmente adatti alle attività produttive; individuazione e avvio di un'attività museale ed espositiva nel cuore del Centro Storico; un polo di attrazione sia per il rinnovamento delle attività culturali del paese sia come promozione della produzione artigianale locale; collocazione di nuove funzioni nel Centro Storico, privilegiando quelle che aiutano a configurare un paese produttivo e ospitale; orientare le attività di Bed & Break-fast secondo protocolli di qualità, favorendone l'installazione in case storiche e un omogeneo livello di qualità e di servizio.

Nel n. 2 di prospettive, richiamando l'esigenza di saper guardare ad altre realtà simili a quella in cui viviamo, per trarne idee e sti-molare esperienze nuove, è stata richiamata l'importanza di uno strumento quale la L.R. n. 35/2018 sulle cooperative di comunità. In essa l'articolo 4 prevede che «1) Sono soci delle cooperative di comunità quelli previsti dalla normativa nazionale in materia di co-operazione (soci lavoratori, soci utenti, soci finanziatori) che appartengono alla comunità interessata o che operano a vario titolo con essa, eleggendola come propria. 2) Possono diventare soci delle cooperative di comunità, oltre alle persone fisiche e alle organizzazioni del terzo settore, purché abbiano sede legale nella comunità interessata e dichiarino espressamente di svolgere in maniera prevalente le loro attività nei confronti della comunità stessa, anche gli enti locali sul cui territorio opera la cooperativa di comunità, e altri enti pubblici».

È auspicabile che, anche sulla base delle esperienze compiute in passato nell'amministrazione dell'urbanistica nel nostro Comune, possa essere avviata una discussione, un dibattito, un approfondimento dei temi trattati, tra Istituzioni, partiti politici e associazioni, utilizzando gli strumenti associativi e normativi disponibili.

Gianni Tola