Il giorno del giudizio di Salvatore Satta

03.08.2021

Quando Il giorno del giudizio venne pubblicato dalla Cedam nel 1977, il suo autore - l'insigne giurista nuorese Salvatore Satta - era morto da due anni. Ma solo a partire dall'edizione Adelphi del 1979 il romanzo ottenne successo di critica e di pubblico, vincendo anche il premio Comisso narrativa.

Il romanzo ha per protagonista il notaio nuorese Don Sebastiano Sanna Carboni, che nella sua dimora vigilava su tutto e su tutti: sulla moglie Donna Vincenza, «massa scura dimenticata in un angolo», e sui sette figli che avevano messo al mondo. Donna Vincenza, moglie e madre, stava in un angolo della sala da pranzo, avvolta nei suoi panni neri, come si conveniva ai suoi cinquant'anni, esausta, ingrassata dalle maternità e con il capo sempre chino sul petto. I figli erano la vita per Donna Vincenza, ma non la speranza, perché Donna Vincenza era una donna senza speranza.

Anche Don Sebastiano era un uomo senza speranza: il notaio aveva visto svanire il sogno di vedere i figli dedicarsi fuori dall'orario di scuola a qualche mestiere. Per fare esperienza, come del resto facevano i figli dei miliardari americani, che si guadagnavano il pane facendo gli strilloni. Era per questo che ogni serata in casa Sanna terminava sempre allo stesso modo, i figli se ne andavano nelle gelide stanze da letto, all'ultimo piano, mentre Nuoro, nella notte profonda, «si stendeva percorsa da un vento gelido». La solitudine è il fil rouge di questo bellissimo e melanconico libro, accolto come uno dei più importanti romanzi moderni italiani, subito tradotto in ben diciassette lingue.

Talvolta si fa il confronto tra Salvatore Satta e Grazia Deledda, e gli italiani - come spesso càpita - si schierano sulle due sponde; ma le differenze sono molte ed evidenti: quanto la Deledda fu prolifica e premiata (tra gli altri, il Nobel nel 1926), Satta fu parco di scritti letterari (scrisse, invece, molto di diritto: i quattro volumi del Commentario al Codice di procedura civile costiturono un riferimento per l'epoca).

In qualche modo si può rilevare, tra Deledda e Satta, la stessa differenza che - nell'altra grande isola italiana - c'è tra Giovanni Verga e Tomasi da Lampedusa, l'autore de Il Gattopardo. Esistono, del resto molte analogie tra i due romanzi: entrambi furono pubblicati postumi, entrambi descrivono la realtà (siciliana e sarda) con lo stesso malinconico sentimento.

E da entrambi sono uscite frasi famose, spesso ripetute e non sempre a proposito. Al «Se vogliamo che tutto rimanga come è, bisogna che tutto cambi» del Gattopardo, fanno eco le parole che il notaio rivolge ripetutamente a Donna Vincenza: «Tu sei al mondo perché c'è posto».

Salvatore Multinu