Il professor Covid: la pandemia ha insegnato qualcosa alla scuola italiana?

16.06.2021

Il Covid19 ha messo a nudo le debolezze delle politiche riformistiche di questi anni, evidenziandone la lentezza e l'incapacità di reagire prontamente alle emergenze. La pandemia ha cambiato con prepotenza minacciosa il contesto d'azione delle persone. Ha messo in crisi il modello riformistico dal basso fatto di mediazioni e compromessi. Il Covid19 non ha mediato, ha imposto.

Il professor Covid19 è salito dunque in cattedra e ha reso evidenti i limiti del sistema scolastico italiano, sostanzialmente novecentesco, logoro, tradizionalmente abituato a rituali ripetitivi, talvolta eccessivamente formali e privi di sostanza dal punto di vista pedagogico, incapace di adattarsi non soltanto ai tempi che viviamo, ma alle persone che popolano le nostre aule, quei giovani la cui evoluzione psicologica e culturale non siamo più capaci in molti casi a riconoscere, apprezzare e valorizzare. Ma il professor Covid19 è stato e sarà capace di insegnare qualcosa alla scuola italiana? Mi limito qui a indicare due problemi cronici della scuola italiana: l'edilizia scolastica inadeguata e il digital divide.

Il problema dell'edilizia scolastica in Italia è una delle cause principali dell'arretratezza del sistema di istruzione. Gli edifici sono in larga parte vecchi e insicuri, nati addirittura come ospedali, alcuni risalenti al periodo fascista, pro-gettati secondo criteri non più attuali, senza infrastrutture tecnologiche che consentano una connessione adeguata alla rete, senza spazi all'aperto, senza palestre per le attività motorie, con pochissimi laboratori. In una sola parola: obsoleta. La prima grande opportunità da sfruttare nel PNRR sarebbe quella di varare un piano di vera e propria sostituzione degli edifici scolastici. Potrà essere questa l'opportunità offerta dalla sciagura della pandemia? Un software aggiornato non può funzionare in un computer vecchio. Le nuove metodologie della didattica non possono attecchire in aule piccole, con banchi e sedie rotte, senza dotazioni tecnologiche, connessioni alla rete che vanno e vengono, schemi rigidi di funzionamento imposti da una struttura che non consente agilità, flessibilità e modularità. La pande-mia però potrebbe agire come volàno, anche economico, per liberare la scuola da quei limiti strutturali che stroncano sul nascere qualsiasi ambizione o timido tentativo di modificare il modello trasmissivo che caratterizza ancora in larga parte la didattica, soprattutto nei livelli di istruzione superiore.

Altra grande novità imposta dal professor Covid19 è la Didattica a Distanza. La dinamica tra entusiasti sostenitori della DAD e strenui oppositori di qualsiasi ipotesi di innovazione didattica che comporti l'utilizzo delle nuove tecnologie ha riproposto sostanzialmente la nota tendenza dialettica che caratterizza il confronto pubblico nel nostro Paese, diviso tra i bianchi e i neri così impegnati nel consolidare le proprie convinzioni da sprecare le opportunità che le crisi impongono, sostanzialmente quelle di riconsiderare radicalmente i paradigmi dominanti che fino a quel momento hanno tracciato il percorso dei processi sociali, culturali, economici e politici. La DAD si è affermata, nel periodo di chiusura delle scuole, come l'unico strumento disponibile per tenere vivo il contatto con gli studenti. La necessità immediata ha obbligato i docenti, anche i più scettici, ad accelerare i tempi, ad apprendere l'uso delle piattaforme online (Gsuite, Office365 ecc.) per creare le classi virtuali, pubblicare contenuti multimediali, programmare lezioni in videoconferenza. In pochi mesi di DAD si è realizzato un processo di formazione della classe docente sulle cosiddette TIC (tecnologie dell'informazione e della comunicazione) mai intrapreso dalle scuole, oppure faticosamente iniziato (il primo Piano Nazionale di Formazione degli Insegnanti sulle Tecnologie dell'Informazione e della Comunicazione promosso dal MIUR, risalente all'anno 2002), ma mai concluso.

La DAD ha messo inoltre a nudo il digital divide mostrandone la sua reale dimensione: numerose famiglie senza pc e tablet per i figli, assenza o inadeguatezza delle connessioni, dotazioni tecnologiche nelle scuole insufficienti, assenza di assistenti tecnici ed esperti di sistemi nelle scuole. E' stato grazie all'abnegazione e disponibilità dei docenti che la scuola ha sostanzialmente tenuto fede al suo compito. L'emergenza pandemica ha accentuato i perversi meccanismi di esclusione ed emarginazione sociale ed economica di larghi strati della popolazione italiana: studenti spariti dal radar degli insegnanti, situazioni socioeconomiche di grande difficoltà acuite dall'emergenza, famiglie con 2 o 3 figli che si contendevano l'unico PC assegnato dal-le scuole in comodato d'uso, costi di connessione insostenibili e con Gbyte limitati. Si è cercato di tamponare la situazione con i fondi destinati alle scuole, ma questo non ha fatto che altro che rendere più evidente l'inadeguatezza dell'intero sistema, incapace di affrontare l'emergenza. Il report 2020 della Commissione Europea sul DESI (indice di economia e società digitale) è a tal proposito impietoso. L'indice dell'economia e della società digitale (DESI) è un indice composito (Connettività; Competenze degli utenti di Internet e competenze avanzate; Utilizzo da parte dei cittadini di servizi Internet e transazioni online; Digitalizzazione aziendale ed e-commerce; Servizi pubblici digitali) pubblicato ogni anno dal 2014, che misura i progressi dei paesi dell'UE verso un'economia e una società digitali. Analizza una serie di indicatori riguardanti le principali azioni politiche attuate dai governi europei per ridurre il digital divide. L'Italia risulta al 25 posto tra i 29 paesi dell'Unione, seguita da Romania, Grecia e Bulgaria. Cosa potrebbe insegnare il professor Covid19 al nostro governo su questo argomento? Si terrà conto di queste criticità nel PNRR?

Concludo con l'auspicio che le politiche della Next Generation EU rimuovano una volta per tutte i limiti materiali e culturali che impediscono ai cittadini e ai giovani, agli studenti di accedere alle opportunità della società digitale con Pc gratuiti per tutti, connessione gratis, anche in base all'indice ISEE, dotazioni e infrastrutture tecnologiche adeguate nelle scuole, piattaforme per la didattica digitale e la fruizione gratuite di contenuti digitali (libri, musica, cinema).

Gianfranco Strinna

Gianfranco Strinna è preside del Liceo Margherita di Castelvì di Sassari