Il rigurgito di nazionalismi e imperialismi

La disinformazione è da sempre un'arma da guerra: serve a sostenere il morale delle proprie truppe (militari o civili) e a minare quello degli avversari (militari o civili). Guai a farsene condizionare, rinunciando a cercare di capire! Riceviamo anche noi gli stessi comunicati delle agenzie di stampa che ricevono tutti gli altri media, ed è impressionante come le notizie date dalla maggior parte delle TV e dei quotidiani italiani siano a senso unico, guidati da un manicheismo d'accatto che divide in buoni - noi e i nostri alleati, ovviamente - e cattivi - gli altri, a cominciare dai diabolici (etimologicamente, divisivi) russi.
Cercare di capire non significa essere equidistanti: tra aggressori e aggrediti stiamo istintivamente dalla parte di questi ultimi. Ma senza rinunciare allo sforzo di discernere da entrambe le parti torti e ragioni. Perché - diciamolo chiaramente - si stanno scontrando in Ucraina, e dunque in Europa, l'imperialismo di una superpotenza in declino e quel nazionalismo che fino a pochi mesi fa veniva condannato senza riserve dai sedicenti liberali e che ora è incoraggiato e sostenuto dall'imperialismo opposto, quello che da decenni scatena guerre dappertutto con la risibile scusa di esportare la democrazia anche in paesi che storicamente non l'hanno mai conosciuta (la Russia è uno di questi, essendo passata dagli zar alla dittatura sovietica e poi alla oligarchia).
Putin è figlio dell'imperialismo, e Zelensky (il leader ucraino arrivato al potere dopo una campagna populista come ne ha conosciuto anche l'Italia) è figlio del nazionalismo che fa rapidamente presa nei paesi dell'Europa centrale e che minaccia alla base la stessa esistenza della UE: come si voglia metterselo in casa resta incomprensibile.
Ora imperversa sui media, che sa utilizzare bene per il suo passato di attore; ma assumendo posizioni che rivelano scarsa attitudine politica. Così scrive Toni Capuozzo, apprezzato giornalista indipendente che da anni segue i conflitti per il mondo: «Non mi sorprende che [gli ucraini] resistano con un orgoglio quasi commovente a un'aggressione. Mi sorprende il loro leader, che riscuote tanta ammirazione per un comportamento che ci sembra senza pari, tra i politici nostri, e per la forza delle parole, delle espressioni, della barba trascurata e delle magliette da combattente. Un grande leader, per me, non è chi è pronto a morire. Un grande leader è quello che accompagna il suo popolo nella traversata del deserto, lo salva. Ecco, a me pare che Zelensky lo stia portando allo sbaraglio, sia pure in nome della dignità e della libertà e dell'autodifesa, tutte cause degnissime. E ancor più mi sorprende l'Occidente che lo spinge, lo arma, e in definitiva lo illude, perché non acconsente a dichiarare quella no fly zone che vorrebbe dire essere trascinati in guerra, come a Zelensky non dispiacerebbe». E aggiunge: «Si chiamano guerre per interposta persona, che altri combattono in nome tuo. Se va bene, abbiamo vinto. Se va male, che siano curdi o afghani, hanno perso loro».
Servirebbero una tregua e un negoziato veri, che salvino vite umane e seppelliscano la retorica dei valori declamati (libertà, democrazia, etc...) ma mai realizzati concretamente, magari in misura parziale e/o progressivamente.
Non lo farà certamente alcuna guerra, né lo faranno imperialismi o nazionalismi innestati nella cultura di odii etnici, di presunte superiorità morali, di differenze di razza o religione (che poi, a scannarsi, attualmente, sono cristiani dello stesso ceppo, ai quali non dovrebbe essere ignoto l'invito costitutivo, addirittura, di amare i propri nemici), di civiltà insomma.
Imperialismi e nazionalismi da mettere al bando, una volta per tutte.