La legge è uguale per tutti?

L'art. 3 della nostra Costituzione dispone che: "Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali".
Alla luce di questo articolo della Costituzione italiana, il punto interrogativo, posto retoricamente nel titolo del presente intervento, potrebbe sembrare un refuso redazionale, oppure frutto di una poco attenta lettura del testo.
Se, invece, si ripercorre con attenzione la vicenda politica italiana degli ultimi decenni, almeno a partire dai governi Berlusconi e fino ad arrivare all'attualità delle vicende giudiziarie, ci si potrebbe accorgere che spesso la materia giuridica è stata trattata malamente, tanto da far sorgere qualche serio dubbio sul pieno e sostanziale rispetto dei principi costituzionali richiamati. È accaduto quando certi personaggi politici hanno avuto a che fare con problemi giudiziari, e sono stati investiti da accuse di vario genere, dalla corruzione ai reati fiscali, dalla gestione irregolare degli interessi finanziari, all'abuso d'ufficio.
A un normale cittadino, rispettoso e fiducioso nell'ordinaria gestione della Giustizia, non viene neppure in mente di essere oggetto di persecuzione o di malevolenza da parte dei giudici incaricati di gestire la sua vicenda giudiziaria, anche se ovviamente non è contento di essere investito da problemi di questo genere che, in genere, richiedono tempi lunghi e costi finanziari elevati per essere risolti.
Il normale cittadino, in questi casi, si affida a una difesa oculata e ben predisposta da un avvocato di fiducia, e attende l'emissione del giudizio, che può essere di assoluzione o di colpevolezza, secondo le decisioni della Giustizia.
Altri cittadini, al contrario, per il solo fatto di essere rappresentanti di un Governo, di un partito politico, o dei cosidetti poteri economicamente forti, quando sono toccati dalla Magistratura, ritengono di poter elevare alti strilli, con accuse di persecuzione da parte di giudici politicizzati, cioè, in linea di principio, prevenuti nei loro confronti, che cercano, con gli strumenti della forza della legge, di ottenere la loro esclusione dalla piazza della Politica.
Non si tratta qui di stabilire se, ad esempio, il personaggio politico Berlusconi sia innocente o colpevole rispetto alle accuse a lui rivolte a suo tempo, dato che di fare questo sono, appunto, incaricati i giudici, i quali emetteranno le loro sentenze al termine del processo.
Scorrendo le cronache della vicenda politica berlusconiana, ci si rende conto che essa si è arricchita di un elenco di cosidette leggi ad personam, ricco di varie decine di provvedimenti legislativi che, in molti casi, andavano a incidere direttamente sulle vicende giudiziarie in corso.
Naturalmente, non è stato il solo Berlusconi a sentirsi un perseguitato politico della magistratura ideologizzata. Sono numerosi i personaggi che hanno seguito questa strada, fino ad arrivare alle recenti accuse rivolte da Matteo Renzi ai magistrati che seguono le sue attuali vicende giudiziarie.
Tuttavia non si vuole qui sostenere, in modo acritico, che la Magistratura (giudici e pubblici ministeri) possano essere esenti da errori anche gravi o, peggio, da comportamenti illegittimi che costituiscono veri e propri reati, come hanno dimostrato alcune vicende in corso all'interno del corpo giudiziario.
I problemi della Magistratura sono ben altri, e non di facile soluzione: il numero insufficiente di magistrati e personale di cancelleria, e la complessiva organizzazione - giudiziaria e amministrativa - dei Tribunali, che necessitano di mezzi innovativi in grado di rendere l'amministrazione della giustizia più efficace e più celere.
Su questo è in corso di approvazione, in Parlamento, l'ennesima riforma della giustizia, sulla quale permangono forti divisioni, sia a livello politico, sia all'interno delle associazioni dei magistrati. A proposito della quale, lo stesso Ministro della Giustizia, Cartabia, ha ammesso, in politichese, che si tratta «della riforma possibi-e», cioè frutto di compro-messi non sempre efficaci per arrivare a un effettivo e reale miglioramento del funzionamento del sistema giudiziario italiano.
Gianni Tola