L'assurda crisi per l'agenda Draghi

Non si capisce lo stupore per la crisi di governo. La legislatura era pur sempre agli sgoccioli, le elezioni vicine e i partiti lo sapevano.
Nei piccoli comuni ci si accorge che le elezioni si avvicinano perché iniziano a scomparire le buche nelle strade e si moltiplicano i rulli che asfaltano ogni via; così in Parlamento: con l'avvicinarsi della fine della legislatura i partiti ritrovano slancio, energie e identità.
L'obiettivo è lo stesso: far dimenticare gli anni precedenti, piazzare qualche bandierina per recuperare qualche voto.
Così, negli ultimi mesi del governo Draghi, dietro la solita facciata di devozione assoluta al Presidente del Consiglio, tutte le forze dell'unità nazionale hanno cominciato a risvegliarsi: il Catasto, le concessioni balneari, le licenze dei tassisti, super-bonus, reddito di cittadinanza, termovalorizzatori, legalizzazione della cannabis.
Fino al mese scorso, quando la situazione è scoppiata. Il M5S, dopo solo un anno e mezzo di governo, si è reso conto che far parte di questa maggioranza stava prosciugando il suo consenso. Con notevoli sforzi Conte ha provato a far sentire la sua presenza. Ha presentato a Draghi alcune specifiche richieste, da portare ai propri elettori. Ma Draghi ha reagito come ha reagito: male!
Invece di mediare con la principale forza politica di questa legislatura, ha ignora-to le richieste di Conte e ha tirato dritto. Perché, dice, anche i banchieri centrali hanno un cuore, ma eviden-temente mancano di dimesti-chezza con le dinamiche de-mocratiche.
Fatto sta che Draghi, offeso (oppure consapevole che, a volte, il Parlamento ha sussulti di dignità e smanie di protagonismo quando si avvicinano le scadenze elettorali), pur avendo un'ampia maggioranza in entrambe le Camere, è salito al Quirinale per rassegnare le dimissioni al Capo dello Stato. Che le ha rifiutate e ha rispedito Draghi alle camere. L'intento di Mattarella era quello di ricucire gli strappi all'interno della maggioranza, e invece Draghi, con il suo discorso, insieme ai Cinquestelle, ha allontanato anche Lega e Forza Italia.
Mattarella si è trovato costretto a sciogliere le Camere, a luglio: un'esperienza inedita. Per la prima volta assisteremo a una campagna elettorale estiva, come non si era mai visto dalla nascita della nostra Repubblica. Con una legge elettorale, regalino che Renzi ci ha lasciato quando era convinto di avere il Paese ai suoi piedi, e che rischia di consegnare alla destra una maggioranza così ampia da poter modificare la nostra Costituzione, in solitudine e senza bisogno di referendum confermativo. Un incubo: la nostra Carta, nata dalla Resistenza antifascista in balìa degli umori di una neofascista, di un ex-secessionista e di Berlusconi (notoriamente più pratico del diritto penale che di quello costituzionale).
La destra non aspettava altro, dato che ha le prossime elezioni in pugno. E infatti, alla prima occasione (lo strappo dei Cinquestelle) ne ha approfittato. Qualche piccolo litigio su leadership e spartizione dei posti nelle liste. Litigi veloci, e poi pronti, verso la vittoria.
E gli altri? E gli altri frastornati, senza una decisione, in balìa degli umori e degli eventi. Il Pd ha in mente un grande centro, in cui mettere tutti, dalla Gelmini a Di Maio, passando per Calenda (che dall'alto del suo 4/5% riesce, inspiegabilmente, a monopolizzare la scena attraverso media, Tv e Twitter e vorrebbe anche dominare ogni eventuale alleanza).
Forse, addirittura, anche Renzi, nonostante la fama di Re Mida al contrario. Letta vorrebbe aprire a tutti. Anche alla sinistra. Purché smetta di avere pretese di sinistra. Se si vuol far parte della Sacra Alleanza contro il fascismo alle porte, bisogna giurare tenendo la sinistra sulla Costituzione della Repubblica Italiana e la destra sulla fantomatica Agenda Draghi, il Santo Graal del nuovo Fronte Repubblicano, e dunque scordarsi ogni questione sociale e ogni richiesta di giustizia sociale e redistribuzione.
I Cinquestelle, dopo le aperture di Conte, tornano a quel populismo violento («Zombie, siete tutti morti») sperando così, con un tuffo nella purezza originaria e un nuovo ingaggio per Di Battista, di far dimenticare ai propri sostenitori di aver governato, nell'ultima legislatura, prima con Salvini, poi con il Pd; poi con Salvini, il Pd, Berlusconi e Renzi, tutti insieme appassionatamente.
Come andranno a finire i tentativi di alleanze politiche o tecniche non si sa. Tra bizze personalistiche, umori della base all'interno di tutti i partiti, tentativi di assicurarsi un seggio, ne vedremo delle belle. Una cosa è certa: mala tempora currunt, sed peiora parantur.
Giacomo Multinu