Le amministrative in Italia e in Sardegna

«Quasi metà dell'Italia chiamata alle urne non vota, quasi metà dell'Italia chiamata alle armi non si fa incantare da retoriche e ambiguità bellicistiche. A metterla così, l'analisi a qualcuno potrà sembrare un po' ruvida. Eppure, si tratta di una verità percepibile in questa torrida metà di giugno del 2022»: lo scrive il direttore di Avvenire Marco Tarquinio, non certo un esponente antisistema o un estremista putiniano.
Già, perché il dato più certo di questa tornata elettorale è la progressiva disaffezione dal voto, esplosa nella stessa giornata con la partecipazione storicamente più bassa ai referendum. Se la politica fosse più attenta, assumerebbe il dato come un segnale di febbre della democrazia. E comincerebbe a riflettere seriamente sulla terapia da adottare, a partire da riforme incisive sull'istituto referendario e sulle leggi elettorali.
Per il resto, è il solito balletto di cifre che ogni parte legge a modo suo, il proliferare di liste civiche in coalizioni a geometria variabile non lo consente: il dato complessivo pone centrosinistra e centro-destra non molto distanti, con l'ultimo in vantaggio. In buona sostanza, a destra si conferma la crescita di Fratelli d'Italia, sull'altro versante la tenuta del PD in un campo largo reso melmoso dal crollo dei Cinquestelle e dall'irrilevanza di una sinistra autonoma. Nessuno dei due schieramenti sembra in grado di dare risposte alla crisi sociale che monta e che finirà per esplodere in autunno se continueranno inflazione e recessione economica.
In Sardegna il centrodestra non pare affatto morto, nonostante la pessima prova del governo regionale: mantiene Oristano e Selargius al primo turno e, tra i Comuni con popolazione inferiore ai 15000 abitanti, conquista Ozieri dopo tre mandati consecutivi del centrosinistra.
Come è andata nel territorio
Oltre ad Anela, dove era presente una sola lista, che ha abbondantemente raggiunto il richiesto quorum del 40% dei partecipanti al voto, si votava nei due capoluoghi di Logudoro e Goceano. In entrambi ha prevalso il cambiamento.
A Ozieri non è stato sufficiente al PD l'allargamento a destra e l'assorbimento di diversi candidati finora all'opposizione. Anzi, l'operazione non è stata capita, probabilmente, da entrambe le parti, i cui elettori hanno preferito disertare le urne, come testimonia la bassa affluenza, inferiore al 60%. E il centrodestra, che già cinque anni fa avrebbe prevalso se non si fosse presentato diviso, stavolta è riuscito a eleggere Marco Peralta, smentendo le previsioni della vigilia.
A Bono, dove nessuno degli amministratori uscenti si è ripresentato, è tornata a guidare il paese la compagine di Rinnovamento e Rinascita che ha eletto Sindaco, con 45 voti di scarto su quasi il 70% di votanti, il consigliere di opposizione Michele Solinas, nonostante il ritorno in campo del veterano Piero Molotzu, già sindaco per due mandati nel decennio 2002-2012.
In questo quadro, qualunque ipotesi sul risultato delle elezioni politiche del prossimo anno e delle elezioni regionali del 2024 appare velleitaria, soprattutto se resteranno in vigore - come sembra scontato - le attuali leggi elettorali. Che, invece, occorrerebbe modificare drasticamente in senso proporzionale per ridare una qualche identità a partiti, vecchi o nuovi, in grado di rappresentare le esigenze dei cittadini. Ma il tema della partecipazione non pare essere nell'agenda dei partiti e dei loro leader, preoccupati più di conservarsi il posto che di immaginare un futuro per il paese.
Un discorso a parte merita la sinistra, certamente penalizzata dal sistema elettorale e dal richiamo al voto utile, ma nello stesso tempo incapace di progettare una propria identità autonoma; che richiede tempo e non tollera le scorciatoie delle ammucchiate preelettorali. Richiede, invece, una coerente riconnessione con gli elettori attorno alle emergenze sociali, scontando anche le sconfitte ma costruendo basi solide. Come è accaduto in Francia, dove Mélanchon è riuscito, come già aveva fatto Mitterand, a mettere insieme la gauche plurielle, cioè tutte le anime di una sinistra frastagliata ma accomunata da un sano radicalismo capace di contrastare - soprattutto in economia - lo strapotere di quel neoliberismo che di fronte alle crisi ricorrenti applica sempre la stessa ricetta: farle pagare ai più deboli. Finché le disuguaglianze non diverranno intollerabili.