Lo Stato, la Chiesa e la Costituzione Italiana

17.10.2020

Nel post di un amico pattadese, recentemente apparso su facebook, così si commentava un passo scritto da Natalia Ginzburg, ebrea e atea, nel 1988: «La scelta dell'intelligenza come posizione umana e come campo aperto dentro il quale vivere il proprio stesso ateismo appartiene - lapalissiano, lo so, ma certe verità sono lapalissiane - ad un ateismo intelligente!»

Il passo della Ginzburg era intitolato Non togliete quel crocifisso: «Il crocifisso non genera nessuna discriminazione. Tace. È l'immagine della rivoluzione cristiana, che ha sparso per il mondo l'idea di uguaglianza fra gli uomini fino ad allora assente. La rivoluzione cristiana ha cambiato il mondo. Vogliamo forse negare che ha cambiato il mondo?                                        Sono quasi duemila anni che diciamo "prima di Cristo" e "dopo Cristo". O vogliamo smettere di dire così?  Il crocifisso è simbolo del dolore umano. La corona di spine, i chiodi evocano le sue sofferenze. La croce che pensiamo alta in cima al monte, è il segno della solitudine nella morte. Non conosco altri segni che diano con tanta forza il senso del nostro umano destino. Il crocifisso fa parte della storia del mondo. Per i cattolici, Gesù Cristo è il Figlio di Dio. Per i non cattolici, può essere semplicemente l'immagine di uno che è stato venduto, tradito, martoriato ed è morto sulla croce per amore di Dio e del prossimo. Chi è ateo cancella l'idea di Dio, ma conserva l'idea del prossimo. Si dirà che molti sono stati venduti, traditi e martoriati per la propria fede, per il prossimo, per le generazioni future, e di loro sui muri delle scuole non c'è immagine. È vero, ma il crocifisso li rappresenta tutti. Come mai li rappresenta tutti? Perché prima di Cristo nessuno aveva mai detto che gli uomini sono uguali e fratelli tutti, ricchi e poveri, credenti e non credenti, ebrei e non ebrei, neri e bianchi, e nessuno prima di lui aveva detto che nel centro della nostra esistenza dobbiamo situare la solidarietà tra gli uomini.                                                                                  Gesù Cristo ha portato la croce. A tutti noi è accaduto di portare sulle spalle il peso di una grande sventura. A questa sventura diamo il nome di croce, anche se non siamo cattolici, perché troppo forte e da troppi secoli è impressa l'idea della croce nel nostro pensiero. Alcune parole di Cristo le pensiamo sempre, e possiamo essere laici, atei o quello che si vuole, ma fluttuano sempre nel nostro pensiero ugualmente. Ha detto "ama il prossimo come te stesso". Erano parole già scritte nell'Antico Testamento, ma sono diventate il fondamento della rivoluzione cristiana. Sono la chiave di tutto. Il crocifisso fa parte della storia del mondo».

Vorrei dare - senza esprimere posizioni di contrasto o conflittuali sul tema - un sereno contributo alla riflessione storica ed educativa sulla questione, anche sulla base della mia esperienza di 41 anni di docenza nella scuola primaria, partendo dal presupposto che l'argomento della esposizione del crocifisso nelle scuole attiene a quella, più generale, della presenza e dell'insegnamento della religione cattolica nella scuola pubblica.

1. - La questione della presenza del crocifisso nelle scuole e in altri spazi pubblici attiene ai rapporti tra lo Stato e la Chiesa, così come si sono sviluppati storicamente, piuttosto che agli aspetti religiosi strettamente legati allo stesso simbolo.

La legislazione, ancora valida, che prescrive la presenza dei crocifissi nelle scuole risale all'epoca monarchica e fascista, e aveva lo scopo di affievolire il dissidio tra la Chiesa e lo Stato italiano risalente alla breccia di Porta Pia (1870), e alle scelte politiche del Fascismo e della Chiesa in quel periodo storico.

Una circolare (la n. 68) del 1922 notava: «In questi ultimi anni, in molte scuole primarie del Regno l'immagine di Cristo ed il ritratto del Re sono stati tolti. Ciò costituisce una violazione manifesta e non tollerabile e soprattutto un danno alla religione dominante dello Stato così come all'unità della nazione. Intimiamo allora a tutte le amministrazioni comunali del regno l'ordine di ristabilire nelle scuole che ne sono sprovviste i due simboli incoronati della fede e del sentimento patriottico».

L'intimazione veniva ribadita da alcuni Regi Decreti. Nel 1924, relativamente alla scuola media, si ribadiva che «Ogni istituto ha la bandiera nazionale; ogni aula, l'immagine del crocifisso e il ritratto del Re». E nel 1927, questa volta riferendosi alla scuola elementare, si precisava la dotazione degli arredi in questo modo: «Tabella degli arredi e del materiale occorrente nelle varie classi e dotazione della scuola. 1. Il crocifisso. 2. Il ritratto di S. M. il Re».
Le normative successive non modificano le disposizioni di queste leggi di epoca monarchica: o tacciono o ribadiscono quanto affermato dai Decreti. Neanche il Concordato del 1929, né la sua revisione nel 1985 modificano la normativa. L'accordo di Villa Madama con la Santa Sede, del 1984, si limita a prendere atto che il cattolicesimo non è più religione di Stato.

Del resto, una legge del 1967 (la n. 641) estende alla scuola media l'indicazione del Regio Decreto del 1928, ribadendo implicitamente la presenza del crocifisso:

Un parere del Consiglio di Stato del 1988 considera "tuttora legittimamente operanti" i due R.D. che prevedono l'esposizione del crocefisso nelle aule scolastiche, e rimarca che essi non possono essere considerati implicitamente abrogati dalla nuova regolamentazione concordataria sull'insegnamento della religione cattolica.

2. - Questo simbolismo ha sollevato forti proteste da parte delle associazioni laiche e di diverse confessioni religiose, spesso confortate da sentenze dei tribunali di vario grado nei vari Paesi europei.

Sul tema si è espressa anche la Corte Europea dei Diritti dell'Uomo che, dopo aver inizialmente accolta l'istanza nel 2009 ha poi definitivamente respinto nel 2011 la richiesta della rimozione affermando che «nulla prova l'eventuale influenza che l'esposizione di un simbolo religioso sui muri delle aule scolastiche potrebbe avere sugli alunni; non è quindi ragionevolmente possibile affermare che essa ha o no un effetto su persone giovani le cui convinzioni sono in fase di formazione».

Sull'insegnamento della religione cattolica nelle scuole, la Legge Ermini del 1955, stabiliva che «fondamento e coronamento dei programmi è l'insegnamento della dottrina cristiana secondo la forma ricevuta dalla tradizione cattolica» Le riforme successive (TU del 16 aprile 1994) hanno introdotto la possibilità di scegliere o meno se avvalersi dell'insegnamento della religione, con criteri diversi: per la scuola dell'Infanzia la scelta di avvalersi dell'insegnamento della religione cattolica va fatta ogni anno scolastico; per la scuola primaria e secondaria di primo grado, la scelta da parte dei genitori avviene "all'atto dell'iscrizione, non d'ufficio", cioè solo all'inizio di ogni ciclo scolastico, avendo poi valore per tutto il ciclo; per la scuola secondaria di secondo grado la scelta effettuata dall'avente diritto all'atto dell'iscrizione, si considera confermata d'ufficio per gli anni successivi.

In Europa l'insegnamento della religione è maggioritario, ma non si tratta ovunque di religione cattolica o di una religione unica: questo caso si verifica solo in 6 paesi (tra cui l'Italia) per la religione cattolica, in 2 per quella ortodossa (Cipro e Grecia) e in 1 (Turchia) per quella islamica.

3. - Fatto questo breve riassunto storico-legislativo, posso raccontare - a distanza ormai di oltre 50 anni - qualche aneddoto di vita vissuta nella scuola.

Un alunno, durante una lezione di scienze, chiese: «Maestro, ma la Terra, da chi è stata creata?»; il maestro rispose: «Secondo la religione cristiana il mondo è stato creato da Dio, secondo la Scienza è frutto di un big-bang e della sua evoluzione...». Dopo qualche giorno, il maestro fu convocato dal Direttore Didattico il quale lo informò che alcune mamme si erano lamentate perché sarebbe stato affermato che "Dio non esiste (!)". Il docente, nello smentire quanto lamentato, non poté che richiamare il dovere di insegnamento disciplinare, alla base della funzione educativa.

In un'altra classe, in seguito alle riforme modulari, due docenti si trovavano insieme all'avvio delle lezioni; uno dei due docenti chiede al collega: «Ti dispiace attendere fuori dell'aula mentre si recitano le preghiere, dato che i bambini possono notare che il maestro non partecipa alle stesse?». Il collega rispose: «Non mi sembra opportuno abbandonare la compresenza...» e la recita delle preghiere proseguì tranquillamente.

Ancora, durante una riunione collegiale, una docente proponeva l'opportunità di inserire nel Piano dell'Offerta Formativa (il POF) il principio educativo che tutte le attività di insegnamento avessero come fondamento la religione cristiana... Poiché i principi educativi della scuola non potevano tornare indietro al 1955, né potevano essere in contrasto con i principi della Costituzione Italiana, la proposta non fu accolta dall'organo collegiale.

Fortunatamente, molta acqua è passata sotto i ponti (culturali, delle coscienze e dei principi costituzionali) sulla libertà di insegnamento nelle scuole. Personalmente ritengo, nel rispetto delle diverse opinioni, che gli elementi di religiosità che riguardano ciascun individuo, possano trovare libera e migliore sede in uno spazio dedicato al culto, come la Chiesa, piuttosto che in uno spazio pubblico di pertinenza dello Stato.

Gianni Tola