Ma la politica?

14.10.2020

La presenza di due liste nella competizione elettorale per le comunali indica che c'è ancora, nel paese, una sufficiente vitalità, anche se è facile immaginare le difficoltà che i promotori hanno incontrato per convincere le persone a candidarsi.

Il paese deve ringraziare le 24 persone - 12 donne e 12 uomini, ma ancora nessuna donna candidata alla carica di Sindaco - che hanno accettato di mettersi in gioco in quella difficile esperienza costituita dalla misurazione del consenso personale e di quello per i programmi che vengono presentati all'elettore.

Perché di questo, allo stato, si tratta. Non ci sono più - falcidiati da decenni di antipolitica e di personalizzazione nei quali le scelte legislative hanno via via cancellato i vecchi partiti e i loro processi di selezione - quei meccanismi che legavano i candidati ad una visione della società che si esprimeva ai vari livelli istituzionali, dal Parlamento al più piccolo Consiglio comunale. L'elezione diretta delle cariche apicali ha svuotato progressivamente la funzione delle assemblee rappresentative e concentrato negli organi esecutivi buona parte delle funzioni di governo, lasciando alle assemblee poteri residuali e di ratifica. Così si è forse favorita una certa stabilità, ma a scapito del dialogo, del confronto e della partecipazione. Lo testimoniano le sedute dei consigli comunali desolatamente vuote, che finiscono con lo scoraggiare gli stessi rappresentanti eletti.

A contendersi il ruolo di dirigere l'amministrazione restano, perciò, aggregazioni estemporanee: liste civiche costruite intorno a un leader (o presunto tale) in cui confluiscono le più diverse opinioni (e opzioni) politiche, per le quali diventa sempre più difficile trova-re un riferimento anche solo alle grandi aree culturali di livello regionale e nazionale. A fare la differenza dovrebbero essere i programmi, ma anch'essi finiscono con il somigliarsi: elenchi di buone intenzioni, talvolta libri dei sogni, tutti rivolti più allo sfruttare finanzia-menti disponibili - spesso per iniziative ridicole - che a cercare di analizzare i bisogni della propria comunità per poi trovare le risorse necessarie a darvi risposta.

Pattada non fa eccezione. Questa volta nessuno ha nemmeno cercato di fare riferimento a una precisa parte politica. Non fa più presa, dicono. E il candidato diventa espressione non più di un pro-getto politico e culturale, ma di un con-senso legato alla propria ramificazione familiare e, per alcuni, al prestigio personale che gli deriva dal grado di istruzione, dall'esperienza, o magari dalla socievolezza del carattere.

L'elettore si adegua e si disaffeziona. La sua partecipazione si limita al momento del voto e a una delega praticamente in bianco della quale potrà solo lamentarsi alla fine del mandato amministrativo. Diventa così difficile selezionare una classe dirigente che sia in grado anche di portare fuori del proprio municipio, almeno ai livelli zonale e regionale, le istanze della propria comunità e a costruire relazioni significative sufficiente-mente solide per far crescere insieme un paese e un territorio. La prossima volta, inevitabilmente, diventerà ancora più arduo trovare persone disposte a impegnare una porzione della loro vita in una dimensione pubblica, collettiva, sociale.

Proviamo a cambiare rotta. Ma intanto rispondiamo alla disponibilità dei 24 pattadesi (di cui 4 non superano i tre-t'anni) in lizza, mantenendo l'abitudine democratica di andare a votare per scegliere il meglio che si può.