Pier Paolo Pasolini: la libertà di andare contro corrente

21.05.2022

Ci vorrebbe un Pasolini, oggi, in questo tempo segnato dal conformismo e dall'omologazione! Ci vorrebbero le sue analisi coraggiose e le sue testimonianze senza prove eppure percepite così vere! Come quando, nelle manifestazioni del '68 di Valle Giulia a Roma si schierò con i poliziotti figli di operai mentre la sinistra liberal osannava gli studenti che iniziavano a demolire, insieme all'autoritarismo, anche l'autorità: «Quando ieri a Valle Giulia avete fatto a botte coi poliziotti, io simpatizzavo coi poliziotti», scriveva nella sua poesia Il PCI ai giovani; e aggiungeva: «E poi, guardateli come li vestono: come pagliacci, con quella stoffa ruvida che puzza di rancio, fureria e popolo. Peggio di tutto, naturalmente, è lo stato psicologico in cui sono ridotti (per una quarantina di mille lire al mese): senza più sorriso, senza più amicizia col mondo, separati, esclusi (in una esclusione che non ha eguali); umiliati dalla perdita della qualità di uomini per quella di poliziotti (l'essere odiati fa odiare)».

In quella contestazione intravedeva il rischio di cedimento al nuovo Potere, che, nonostante le parvenze di tolleranza, di edonismo perfettamente autosufficiente, di modernità, nascondeva un volto feroce e repressivo: «se proprio vogliamo conservare la vecchia terminologia, una forma totale di fascismo al cui confronto il vecchio fascismo, quello mussoliniano, è un paleofascismo».

Per Pasolini c'era un nemico esplicito anche in questo caso: ed era il mercato, con la sua logica implacabile di «religione dei consumi»; esattamente quella che ha permesso alla Lega di avanzare con successo la sua proposta agli italiani di sentirsi tutti «figli dello stesso benessere», portando a termine la parabola «dalla solidarietà all'egoismo».

Contro questo potere combattè con una ammirevole costanza, anche pagando il prezzo della sua diversità (compresa la sua non nascosta omosessualità) usando tutte le armi di un intellettuale a tutto tondo: con la poesia, i romanzi, il cinema, il teatro, il giornalismo, fino alla tragica morte del 2 novembre 1975 (data per certi versi simbolica), all'età di 53 anni (era nato Bologna nel marzo 1922, cento anni fa, ma era cresciuto in Friuli, a Casarsa il paese della madre).

«La tematica politica e quella religiosa, affrontate in modo personale, violento, proocatorio, costituiscono il binomio che caratteriza tutta l'opera dello scrittore», ha scritto di lui Elena Buia Rutt in un numero monografico della Civiltà Cattolica interamente dedicato a Pasolini, nel quale sono raccolti gli articoli che la rivista gli ha dedicato nel corso degli anni, dalla condanna morale iniziale alla progressiva riscoperta della sua ricerca religiosa.

Un'altra caratteristica fu la costante attenzione al mondo del proletariato e del sottoproletariato, prima friulano e poi romano, al quale rimase fedele, nel rifiuto della mentalità borghese, consumistica, infelice, che annacquava - fino a discioglierlo - il vitalismo contadino e operaio: le stesse classi sociali che avevano ispirato molte delle riflessioni di Antonio Gramsci. (sm)