Pini o querce? Questo è il problema

In tutto il mondo la vegetazione pienamente naturale, anche in molte regioni dove sino a due secoli orsono era considerata primigenia, è sempre più ridotta o fortemente modificata nel suo assetto originario. Nell'area mediterranea questo processo è stato molto marcato da oltre 2-3 mila anni, e questo ha fatto sì che le foreste vere e proprie, a causa delle utilizzazioni varie, degli incendi, del pascolamento e delle colture agrarie, siano state trasformate in macchie, più o meno degradate e popola-menti dominati dalle sole erbe.
Anche in Sardegna questi processi si sono verificati da lungo tempo e continuano tuttora mostrando un quadro della vegetazione oltremodo variegato anche per la presenza, accanto alle formazioni boschive con specie autoctone, di impianti con specie esotiche, iniziati a partire nell'ultimo quarto dell'Ottocento e proseguiti per tutto il Novecento. Non mancano specie latifoglie, come castagno, frassino, acero montano ma sono soprattutto le conifere con pini, cipressi, abeti, calocedri, sequoie, cedri, ginepri, a caratterizzare le opere di rimboschi-mento e ricostituzione boschiva in Sardegna, sia per scopi di sistemazione idraulica-forestale, nelle aree demaniali, sia per la produzione di legname da par-te di privati. In proposito basti ricordare la problematica fase della cosiddetta forestazione produttiva con pino di Monterey.
Un discorso a parte merita l'introduzione di numerose specie di eucalipti, introdotti sia come barriera frangivento, per il risanamento delle aree paludose, sia come rimboschimento produttivo, oggi tornato di attualità per la produzione di biomasse.
Le motivazioni che hanno favorito la diffusione delle conifere è stata da un lato la facilità di attecchimento (e quindi la riuscita delle operazioni in tempi brevi), il concetto di specie preparatoria per lo sviluppo e la successione della vegetazione naturale, la produzione legnosa maggiormente idonea alla trasformazione per il legname da opera. Si può dire che i ginepri autoctoni e il tasso, sinora non hanno trovato se non scarsa attenzione nelle opere di forestazione.
La tendenza della selvicoltura, negli ultimi decenni, è stata quella del ritorno alla ricostituzione boschiva seguendo e favorendo l'evoluzione naturale, soprattutto a partire dalle aree di macchia più o meno evoluta.
In Sardegna, tra i pini, è considerato sicuramente autoctono il pino marittimo (con la sottospecie limitata alla Sardegna settentrionale e alla Corsica). Il pino d'Aleppo e il pino domestico, in base al-le recenti scoperte negli scavi archeologici, anche se non fossero nativi, di certo sono presenti da almeno 3 millenni e comunque potrebbero essere considerati come archeofite, mentre gli altri pini sono senza dubbio specie esotiche di recente introduzione.
In questo quadro si colloca il territorio di Pattada, particolarmente vocato sia al pascolo, sia al bosco. L'introduzione delle conifere nell'area risale al primo Novecento nel parco di Solorche, dove è possibile rinvenire, accanto al castagno, al frassino maggiore, al noce nero, all'a-cero montano, anche il pino silvestre, il pino nero, il cedro dell'Atlante.
Presenta una storia a sé la pineta che sovrasta l'abitato di Pattada, il cui primo impianto risale al 1924.
Ma è soprattutto nel Monte Lerno, che si trovano i rimboschimenti più estesi con diverse specie di conifere e la netta prevalenza del pino domestico, del pino nero, del pino marittimo e del cedro dell'atlante. Il paesaggio forestale è palesemente condizionato dai tipici grado-ni, anche se non mancano esempi di interventi con semina a spaglio di ghiande di roverella, già nelle prime fasi della storia di questo compendio forestale.
La pratica dei rimboschimenti a gradoni è stata pressoché abbandonata negli anni novanta del secolo scorso, quando si è avuta anche un'inversione di tendenza nei rimboschimenti favorendo il ripristino delle formazioni di quercia da sughero e di leccio.
I boschi misti di latifoglie rappresentano anche le condizioni di maggiore naturalità con una quantità di prodotti, dai funghi porcini agli ovuli, alle ghiande (un prodotto di grande pregio oggi trascurato), e tanti altri di vario interesse, non sempre opportunamente valorizzati dal punto di vista economico e quelli ancora valutati dei servizi ecosistemici, come l'equilibrio idrogeologico, il sequestro di carbonio, la formazione di suolo organico, la mitigazione del clima.
Peraltro, il paesaggio vegetale è caratterizzato dagli oleastreti, dalle macchie a corbezzolo ed erica arborea nelle zone aride, ma con suoli ancora poco degradati, le macchie a erica scoparia nelle a-ree umide e nei fontanili, le garighe a cisto nero e lavanda, a cisto giallo e ad elicriso nelle aree con suoli affioranti, offrono un pabulum particolarmente idoneo per la apicoltura, un altro settore poco valorizzato nell'Isola. I pascoli delle macchie e delle garighe sono poco produttivi rispetto ad altre aree e paiono più adatti a capre, mufloni, daini e cervi, questi reintrodotti nel 1988, piuttosto che al pascolo ovino e bovino.
Tutto pascolo sarebbe, prima di tutto un dissesto idrogeologico ben più grave di quello attualmente in atto. Tutto bosco significherebbe certamente andare in-contro ad un assetto idrogeologico forse ottimale, ma anche alla riduzione della biodiversità e allo stesso tempo vorrebbe dire sacrificare un elemento trainante della economia tradizionale.
Nuove ipotesi di introduzione di specie forestali esotiche si scontrano con la convinzione che l'assetto ambientale è meglio assicurato da quegli elementi autoctoni che nel tempo hanno trovato un habitat idoneo con un equilibrio accettabile con le attività umane. I cambiamenti climatici potrebbero certamente portare a nuovi assetti della vegeta-zione, e non è detto che siano più favorevoli di quelli attuali.
Una riflessione può essere fatta sul quesito iniziale. E' indubbio che le problematiche attuali sulle prospettiva dell'assetto ambientale di questo territorio, e più in generale del mondo che ci circonda, richiedono un'attenzione che non deve riguardare solamente tecnici e scienziati, ma deve coinvolgere tutte le sensibilità esistenti in una comunità. Quale sia l'equilibrio ambientale e di economia eco-compatibile ottimale è un argomento che, sia a livello locale, sia a livello globale, è ancora ben lungi da essere definito, ma che è particolar-mente urgente affrontare in termini non ideologici.
Ignazio Camarda
Ignazio Camarda è stato Professore Ordinario di Botanica sistematica presso il Dipartimento di Agraria dell'Università di Sassari. Ha fatto parte del comitato di coordinamento per la predisposizione degli studi dei Parchi Naturali e del Parco Nazionale del Gennargentu, per la predisposizione dei piani paesistici dei parchi naturali regionali, per la delimitazione delle aree SIC e per il Censimento degli habitat prioritari della Sardegna. È stato Direttore del Centro per la Biodiversità Vegetale dell'Università di Sassari e ha fatto parte del consiglio direttivo della Società Botanica Italiana. Ha pubblicato diverse monografie e oltre 250 lavori scientifici su libri e riviste.