Riforme a sentimento

L'ultima prevede due Città metropolitane e sei Province: con quali obiettivi, quali funzioni, quali finanziamenti?
Futuro incerto per le Unioni di Comuni.
Ci risiamo! Ad ogni legislatura regionale si propongono (e, purtroppo, talvolta si fanno) riforme che scardinano gli assetti degli Enti locali - e degli organismi connessi o che dovrebbero esserlo, tipo ASL - prima ancora di vedere se la riforma fatta appena nella legislatura precedente abbia dato risultati, positivi o negativi. È il frutto avvelenato del tanto decantato bipolarismo, quello che «chi vince decide», quello che ha svuotato progressivamente la funzione di rappresentanza dei consiglieri regionali. Ma vale anche al livello nazionale per i parlamentari e, giù per li rami, fino ai Comuni.
Poiché le riforme si fanno a colpi di maggioranza, senza alcun dialogo nelle sedi in cui dovrebbero prodursi sintesi valide e durature, e poiché le maggioranze cambiano piuttosto frequentemente - alla faccia della stabilità che si voleva ottenere a scapito della rappresentanza - ecco che ogni pochi anni ci risiamo.
L'ultima riforma nell'assetto degli enti locali (Comuni e Province) approvata in Sardegna è del 2016! Era figlia di due colossali errori compiuti dai governi di centrosinistra al livello nazionale: la riforma costituzionale Renzi-Boschi (bocciata dal referendum confermativo) e la legge Delrio. Con la prima venivano abrogate le Province (oltre a varie altre cose, secondo la maldestra cultura dello scarto che contraddistingue la politica moderna); con la seconda ci si portava avanti col lavoro rendendo le province stesse dei fantasmi, a cominciare dal fatto che venivano sottratte alle decisioni dirette dei cittadini e diventavano organismi di secondo livello (cioè gli amministratori non erano nominati dagli elettori, come dovrebbe essere per tutti gli organi che maneggiano soldi pubblici, ma dagli eletti nei consigli comunali, attraverso alchimie di dubbia efficacia e di sicura opacità).
Forte di questi presupposti, e del precedente referendum regionale del 2012 che aveva abolito le 4 province aggiunte a quelle statali, la Giunta Pigliaru approvava una riforma i cui due pilastri erano la Città metropolitana di Cagliari e le Unioni di Comuni; il resto (città medie, reti urbane, reti metropolitane) era fuffa gelatinosa per placare veri o presunti appetiti territoriali. Rimanevano le quattro province di origine statale (Sassari, Nuoro, Oristano e Sud-Sardegna, comprendente i Comuni della vecchia provincia di Cagliari esclusi quelli della neonata Città metropolitana), in attesa che Boschi le disboscasse.
I difetti della legge Erriu
Scritta avendo sullo sfondo la legge nazionale Delrio e la riforma costituzionale, e quindi nella speranza dell'abolizione definitiva di tutte le province, la legge del 2016 prevedeva la costituzione della Città metropolitana di Cagliari, associando al capoluogo i comuni confinanti, con grande strepito del Capo di Sopra che non voleva essere da meno e temeva (non senza ragione) scippi finanziari. Per placarne le ire fu inventato tutto un catalogo di opzioni: rete metropolitana, che avrebbe unito Sassari e gli agglomerati vicini del nord-ovest; città medie, contentino per Nuoro, Olbia e Oristano; reti urbane, equivalenti a unioni di Comuni contenenti una città media). Ma la sostanza della legge Erriu era che tutto ciò che stava al di fuori della Città metropolitana di Cagliari sarebbero state Unioni di Comuni di caratteristiche diverse, che avrebbero dovuto sostituire in toto le province una volta che fossero state definitivamente abolite. Non è andata così, e quindi i tre livelli sapientemente previsti dai Padri costituenti (Regioni, Province, Comuni, tutti eletti direttamente) diventavano quattro o più, di cui almeno due livelli successivi (Unioni di Comuni e Province) senza elezioni dirette.
Ma il grande errore della legge Erriu è stato quello di confondere, consapevolmente o no, le Unioni di Comuni con enti di area vasta, che avessero compiti di programmazione e gestione sovracomunale: un errore semantico e di cattiva grammatica istituzionale. I Comuni hanno funzioni specifiche: alcuni, per dimensione e organizzazione, sono in grado di espletarle; altri, per le piccole dimensioni o per altri motivi, non sono in grado di farlo. Ecco, le Unioni di comuni avrebbero dovuto sopperire a tali carenze facendo gestire alcuni di quei compiti in forma associata e quindi riducendo il divario tra comuni grandi e piccoli. Ma sempre compiti e funzioni di livello comunale! Aver attribuito alle Unioni di Comuni compiti diversi ha prodotto ulteriore confusione, ulteriori divari tra territori diversi, etc... E, fatto rilevante, non ha diminuito di una briciola il potere di gestione amministrativa di una Regione famelica ed elefantiaca che costituisce il vero problema politico-istituzionale dell'Isola.
Infine, lo stesso modello istituzionale delle Unioni di Comuni abbassava il livello democratico di partecipazione: più che come Enti locali - e quindi Comuni a pieno titolo, anche se in una accezione più vasta - venivano organizzati come aziende, perfino nelle diciture (non più Giunte, ma Consigli di amministrazione). In realtà, diventavano club di Sindaci, escludendo le minoranze dei Consigli comunali dalle decisioni. In estrema ipotesi (ma un'organizzazione istituzionale seria deve prevedere anche i casi estremi), se una parte politica avesse prevalso per il 51% in tutti i Comuni dell'Unione, il 49% dei cittadini sarebbe stato tagliato fuori da ogni decisione. Questo, per la verità, è affare dei singoli Statuti e le Unioni avrebbero potuto forse ovviare.
Il nuovo progetto di riforma
L'assetto previsto dal progetto di riforma, approvato in ottobre dalla Commissione Autonomia del Consiglio regionale, non mette riparo allo stato di fatto illustrato. Anzi, rischia di aggravare la situazione. Intanto, non si occupa più di Unioni di Comuni, abbandonate all'attuale normativa con tutte le confusioni del caso; abbandonate a sé stesse, non si sa che fine faranno e qualcuno ne ipotizza semplicemente una morte per consunzione: o, al massimo, si lascerà che si occupino di rifiuti e poco altro. La nuova riforma, infatti, si occupa essenzialmente di province.
Grazie alle pressioni dei consiglieri del nord Sardegna, anche Sassari viene promossa Città metropolitana come Cagliari, ma con il territorio esteso, in entrambi i casi all'intera estensione della vecchia Provincia. Cosa abbia di metropolitano con Cagliari il comune di Seui (i comuni limitrofi di Seulo e Ussassai sono inseriti rispettivamente nel-le nuove province di Nuoro e Ogliastra) è difficile capirlo; ma si potrebbe dire lo stesso per Burgos o Esporlatu o anche Pattada rispetto alla metropolitanità di Sassari (a meno che non si voglia dare al termine metropolitano il significato di colonia che aveva nell'Impero romano di 2000 anni fa).
Come si è capito, vengono risuscitate le vecchie province abolite con il referendum del 2012 (Gallura, Ogliastra, Sulcis e Medio Campidano), alle quali viene però data l'opportunità di costituire Unioni di Province (fino al numero massimo di tre associate), con le quali si rischia di ripetere la confusione delle Unioni di Comuni della legge Erriu.
L'idea di fondo, stando alle dichiarazioni di qualche autorevole politico è che avremo le due Città metropolitane e due Unioni di province (orientale e occidentale) derivanti dall'associazione di Oristano, Medio Campidano e Sulcis a ovest e di Gallura, Nuoro e Ogliastra a est. Alla fine, si avrebbero così ancora quattro province, ma ridisegnate: tanto tuonò che piovve!
Comunanza di risorse storiche, geografiche culturali, linguistiche, etc? Dettagli! Vuoi mettere il gusto di lasciarsi trasportare da sogni, sentimentalismi e consensi elettorali?
E la Regione? Resta lì: sempre burocratica, elefantiaca, impegnata a distribuire incarichi, prebende, finanziamenti... E a nominare Commissari straordinari «nelle more di approvazione della riforma...». Naturalmente al nuovo assetto degli Enti locali corrisponderà l'organizzazione di altri servizi, a partire dalle ASL, tornate, appunto, otto. Pur non condividendo il malcostume delle forze politiche che, trovandosi all'opposizione, bollano come «poltrone» quelli che quando stavano in maggioranza chiamavano «incarichi istituzionali», la critica verso questo modo barbaro di esercitare il mandato di rappresentanza resta ferma e definitiva. Come resta ferma la convinzione che tutto questo abbia origine in un bipolarismo nutrito di maggioritario che ha sbrindellato la Nazione a tutti i livelli.
Salvatore Multinu