Rimedio alle storture o vendetta della politica?

02.06.2022

La differenza di giudizio tra due categorie direttamente interessate alla riforma della giustizia nel nostro paese - quella dei giudici e quella degli avvocati - è, in qualche modo, fisiologica. Quali sono i punti di convergenza e quelli di divergenza rispetto ai quesiti?


Lo strumento referendario non è un bisturi per intervenire chirurgicamente sulle storture del sistema legislativo. Il caso dei quesiti referendari sulla giustizia non rappresenta un'eccezione. Bisogna, però, chiedersi se il sistema giustizia abbia bisogno del bisturi o della scure per risolvere i propri evidenti problemi.

A fronte di una ormai conclamata crisi di credibilità della magistratura - dal "caso Palamara" agli scandali che hanno coinvolto anche i Tribunali sardi - alcuni interventi drastici appaiono inevitabili e indifferibili. Pertanto, sicuramente apprezzabile è il quesito che, abolendo l'obbligo per un magistrato che voglia essere eletto, di trovare da 25 a 50 firme per presentare la candidatura al CSM, permetterà anche a giudici indipendenti dal sistema corporativo delle correnti di poter far sentire democraticamente la propria voce.

Un giudizio altrettanto positivo va espresso per il quesito che introduce la possibilità per professori di diritto e av-vocati di esprimere il proprio voto nei consigli giudiziari in tema di valutazione della professionalità dei magistrati. È infatti ovvio che tutte le componenti del mondo della giustizia debbano avere voce in capitolo sugli avanzamenti di carriera dei giudici. Altrimenti l'unico criterio effettivo rimarrà, come ora, quello del merito sindacale ovverosia l'attività in seno alle correnti o la mera anzianità. Controllori e controllati non possono essere le stesse persone.

In tema di separazione delle carriere, il principio della parità tra accusa e difesa milita a favore di una riforma dell'attuale sistema in cui un magistrato requirente (il PM) può decidere di passare alla funzione giudicante. Tale stortura non è solo un pericolo per il giusto processo e la terzietà effettiva del giudice ma è anche causa di forte squilibrio tra le parti processuali. Abbiamo, infatti, un pubblico ministero collega del giu-ice, con tutte le evidenti conseguenze pratiche che si possono immaginare al di là delle affermazioni di principio perchè, purtroppo, nei tribunali italiani la pratica è molto lontana dalla teoria.

Una diversa connotazione hanno, inve-ce, gli ultimi due quesiti, quello sulla carcerazione preventiva e quello sull'abolizione della legge Severino.

Scorrendo il loro testo non si può che notare in maniera evidente il tentativo della politica di proteggere sé stessa. Non dobbiamo certamente nascondere il fatto che gli errori giudiziari siano all'ordine del giorno. Tantissimi innocenti vedono le loro vite distrutte da improvvide azioni delle procure di mezza Italia. Ma escludere la carcerazione preventiva in caso di reiterazione del reato (ipotesi classica nei reati dei colletti bianchi) non è una soluzione. Così come eliminare gli automatismi previsti dalla legge Severino che portano all'incandidabilità, ineleggibilità e decadenza automatica per i parlamentari, per i rappresentanti di governo, per i consiglieri regionali, per i sindaci e per gli amministratori locali in caso di condanna anche di primo grado non aiuta di certo la migliore selezione della classe dirigente.

Per eliminare le storture, bisognerebbe impegnarsi tutti, al di là dei colori politici, per costruire un sistema chiaro ed efficiente di responsabilità dei magistrati. Riportare tutti, nessuno escluso, sotto il potere della legge è l'unica vera soluzione ai problemi della giustizia.

Vito Garofalo  dirigente regionale di Sinistra Italiana