Ritornare alla propria identità

30.09.2024

La storia, si sente spesso dire, èun'ottima maestra, perché il passato dovrebbe insegnare a non ripetere gli stessi errori e programmare il presente, nel senso agostiniano, del qui ed ora, mentre il futuro è per lui attesa e, nel nostro caso, anche paura, perché potrebbe essere deciso da altri (multinazionali, faccendieri...), a meno di un reale ed efficace e sostanziale movimento di popolo. 

Esattamente - per ricordare due pagine di storia locale - come si ribellarono i nostri padri nei lunghi e tormentati decenni di applicazione della legge delle Chiudende, o come, nel 1889, quando la popolazione insorse contro la decisione di aumentare le tasse di su comunale: seguirono oltre 60 arresti e condanne al carcere, ma in entrambe le occasioni si riuscì a salvare gran parte del territorio adibito agli usi civici e revocare la delibera sull'aggravio fiscale.
Anche se la storia è fatta di momenti di pace, conflitto, disastri provocati dall'ambizione del potere, gloria, dalla sopraffazione dell'altro, è proprio da questi ultimi episodi, oltre che dal moderno e dilagante culto del denaro e mercato, che possiamo e dobbiamo trarre essenziali ed utili insegnamenti.
Lezioni fondamentali per poter tentare la ricerca e recupero di quei valori assoluti, che i filosofi chiamano trascendentali, come verità, giustizia e bellezza, concetti che, se ci pensiamo attentamente, sinora sono, la maggior parte delle volte, decisi da altri e imposti sulle nostre spalle.
Le verità, ormai da secoli, ci vengono suggerite dai nostri governi passati, da chi continua a farlo, e dalle spregiudicate ambizioni e lusinghe degli affaristi e nuove mafie; la giustizia spesso cala dall'alto sulle nostre teste come una ghigliottina (come recente esempio, vedere il decreto sulle energie rinnovabili del 2021, approvato dal governo Draghi, Colao, Cingolani...), mentre della bellezza che tutti abbiamo davanti, anestetizzati dal sonno dell'abitudine, prendiamo atto soltanto quando viene messa in pericolo.
Ma veniamo al punto che rischia di dividere, come l'intera Sardegna, anche la nostra comunità: la molteplicità di opinioni, punti di vista, moralismi e interessi di parte, devono obbligatoriamente, da parte dei sardi che hanno a cuore il bene e il senso comune, trovare sbocco nell'unità.
Mettiamo per un po' da parte le inizialmente gloriose vicende isolane: non si possono definire altrimenti le civiltà delle domus de janas, dolmen, labirinti, circoli megalitici, tombe dei giganti, conoscenze astronomiche e quella nuragica e giudicale, le ricchezze ambientali e minerarie, che hanno pian piano attirato la brama di spoliazione e sfruttamento delle risorse isolane da parte dei vari potentati economici e i loro sodali, oltre alla piaga endemica degli incendi, nel corso dei secoli.
Per tornare alla memoria storica del paese, sono ancora vivi nei ricordi della gente: la distruzione del patrimonio boschivo da parte di imprenditori piemontesi e toscani, col modesto e, come sempre, palliativo intento di dare lavoro a linnajolos, iscolletinos, carvonajos, carrulantes e costruttori di muretti a secco locali, per delimitare il percorso dei treni, a condizione che si fornissero le traversine per la nascente ferrovia reale sarda. I successivi contrasti per la costruzione della diga ed espropriazione, con irrilevanti contributi, dei territori più fertili della vallata di Lerron.
Alla luce dei cambiamenti ambientali e siccità di questi ultimi anni, probabilmente, fu una scelta giusta, anche se stravolse, oltre a quanto appena accennato, la natura e clima del territorio.
Il posizionamento indiscriminato di varie antenne. Il tutto autorizzato e controllato da chi? Se non da imprese esterne che, esclusivamente, curavano se stesse ed i propri interessi.
Sarà propriamente un caso, che in seguito a questi fatti sia coinciso lo sviluppo di patologie, sino ad allora sconosciute ?

Tanti della nostra generazione senz'altro ricorderanno la distruzione sistematica delle caratteristiche identitarie del centro, selciati e basolati ricoperti - anche dove il traffico era impossibile - dal dio cemento, col rifacimento tardivo di alcune vie; quelle strade hanno smarrito totalmente la propria anima. Il camioncino che, periodicamente, attraversava il paese alla ricerca di portoni, armadi e vecchi oggetti tradizionali, cassapanche..., tutti in legno pregiato (noce, castagno, ginepro, pioppo...), e utensili casalinghi di rame_ chi decideva di disfarsene veniva ricompensato con dozzinali - ma, al tempo, assoluta novità - moderni mobili e sedie di fòrmica e oggetti quotidiani di plastica.
Lo smantellamento del lavatoio comunale, l'interramento della fonte perenne di Corona, e la distruzione della scalinata che portava alla chiesa del Carmelo, l'incuria che ha portato alla demolizione della stessa chiesa, fresca e raccolta, sostituita, a mio parere, da un moderno e surriscaldato silos.
Questione di gusti!
L'indifferenza generale che ha portato a sostituire con un allettante e, allora alla moda, nuovo cinema paradiso, la chiesa di Santa Croce.
Tacciamo su altri scempi urbanistici e ambientali, per passare velocemente alla "onumentale e negativamente iconica antenna di San Gavino.
Oltre che stupendo punto panoramico, il colle, nell'antichità, era sede di un insediamento nuragico, punto di controllo della viabilità in epoca romana (Sa Pedra Peltusa-Badu 'e Crasta, col vicino e significativo toponimo di Bidda Ruine, che proseguiva sino a Castrum Luguidonensis, non distante da Oschiri; quella che portava al villaggio di Lerron, che presso Usulufè (più nota come Bidda 'e Cabone) si divideva in quella che portava a Caput Thirsy, mentre l'altra proseguiva verso Aquae Lesitanae), in periodo giudicale, probabilmente, l'ordine camaldolese, già presente a Saccargia e nella vicina chiesa di san Saturnino, tra Bultei e Benetutti, edificò, tra gli antichi ruderi, un maestoso convento, mentre in epoca spagnola, vi dimorò un contingente militare.

A fine '700, padre Luca, nella commedia Sa congiura 'e sos bajanos madamizantes, sconosciuta sino a qualche anno fa, colloca proprio a San Gavino sa corona de sa 'idda, viva reminiscenza dell'usanza della Carta de Logu, promulgata dal giudice d'Arborea Mariano IV, e integrata dalla figlia, giudicessa Eleonora d'Arborea: una sorta di consiglio dei saggi della comunità, per tentare di porre freno agli influssi illuministici, a suo giudizio, nefasti, e alla francesizzazione dei costumi che i dragoni piemontesi, di stanza a Ozieri, intendevano importare nel paese. La memoria racconta dell'ingresso attraverso un pertugio di quella sorta di torre, che ora ospita il monumento ai caduti, indicata in una foto dei primi del 1900 come ruderi pisani, di alcuni uomini, qualcuno non fece più ritorno.
Evidentemente, lì sotto c'è qualcosa da riportare alla luce.
Questa in sintesi la storia del colle di San Gavino. Di fronte alle giustificate proteste di parte della popolazione, politica e bizantinismi e tempi biblici dell'elefantiaca burocrazia si sono dimostrati del tutto impotenti di fronte a interessi maggiori.
Certo qualche smartphone avra maggiore ricettività e tacca in più sul cellulare, ma lo sfregio al colle, punto panoramico del paese, è permanente. Interconnettività col mondo intero, malgrado - mai, come attualmente - il senso di solitudine ed inquietudine siano profondamente radicati in ognuno di noi.
Non faccio parte, se non fisicamente e col pensiero, degli episodi che segnano la vita della comunità (una breve parentesi politica mi ha dato l'impressione, forse, anzi sicuramente errata, che gli interessi della gente contano poco e niente davanti ai compromessi e gli interessi privati, anche quando presi a colpi di maggioranza).
Si gioventura ischeret e betzesa poteret...
Da quanto sento dalla gente e nei tg regionali, pare ci troviamo di fronte ad un attacco speculativo ai danni del paese ben più massiccio e distruttivo di quelli elencati in precedenza.
Si vocifera del posizionamento di diverse pale eoliche a Su Monte 'e Subra, da parte di sconosciute multinazionali, anche se col tempo qualche nome inizia a filtrare, e sono tutt'altro che buone notizie!
Credo nessun sardo, da quanto ascolto nei refrain dei dibattiti televisivi regionali, sia contrario alle fonti energetiche rinnovabili, per tentare di mettere una toppa ai cambiamenti climatici, causati, oltre che dall'infrenabile progresso, dall'utilizzo di fonti fossili. Non sono per niente esperto dell'argomento, ma ritengo di conoscere a sufficienza il territorio e la sua storia. Su Monte 'e Subra, proprio di fronte al nostro centro, oltre che essere un bene a disposizione degli usi civici della comunità, su comunale - pastori, agricoltori e disponibile per le necessità del legnatico di chi ne fa richiesta - è anche un territorio ricco di patrimonio boschivo, faunistico e sorgenti, contiene un bene immenso e ancora in gran parte da esplorare e valorizzare, ricco di emergenze archeologiche. Dal cunicolo di caverne di Su Corriadore, certamente usate come rifugio dall'uomo durante il Neolitico, ai diversi menhir, uno dei quali rappresenta esattamente una forma fallica, ai circoli megalitici, il più imponente dei quali, ai più del tutto ignoto, presso Sa Contra 'e s'Abbila, un cerchio enorme delimitato da massi di quarzo, pedr'alva, che, vista la posizione, aveva probabilmente funzione astronomica, ripari sottoroccia, tombe di giganti, una delle quali inopinatamente distrutta, oltre a diversi nuraghi e villaggi appartenenti a quella civiltà, che, per l'estensione, non possono essere assolutamente scambiati per capanne di caprari.
Naturalmente, abbiamo avuto buoni amministratori del bene pubblico regionali e locali, e numerose opere utili alla comunità sono state portate avanti, anche se nessuna iniativa pare riuscire a fermare il declino e spopolamento delle zone interne, come la nostra.
Il progresso, malgrado i vantaggi e danni arreccati, deve andare avanti, è un cammino irrefrenabile (ho scelto di respirare, nutrirmi e riuscire a comunicare grazie a Dio, agli affetti e alla tecnologia), ma, per quanto possibile, l'uomo deve provare a limitare gli impatti negativi.
Proviamo a immaginare la profondità delle buche e le colate di tonnellate di cemento armato, necessarie per sostenere quei colossi eolici, i fossati scavati, colmi di quintali di cavi d'acciaio, col conseguente depauperamento e disastro irrimediabile del patrimonio boschivo, per il collegamento ad un accumulatore o batteria, per fornire energia a chicchessia, fuorché ai sardi, e i danni irrimediabili arreccati, oltre alla natura, storia e bellezza, alle falde acquifere ed usi civici.
Le pale eoliche ricadono in su comunale, e una volta esaurito il loro compito (pare non oltre i 30 anni), le spese di smaltimento ricadrebbero sulle generarazioni future dei pattadesi.
A parte i pur utili alle casse comunali - pare superiori ai 200.000 € annuali - il resto è una pagina bianca ancora da riempire, seppur con le conseguenze e rischi appena elencati.
Se poi si pensa all'assedio di migliaia di pale eoliche, terrestri e, come si usa dire, off shore, alle diverse centinaia di migliaia di ettari ricoperti di pannelli fotovoltaici, sottratti a pastorizia e agricoltura, alle servitù militari presenti nell'isola, oltre il 70% di quelle nazionali, (che sinora sono riuscite a comprare il silenzio e l'omertà delle popolazioni locali, e di tanti di noi, con qualche posto di lavoro e indennizi vari), al numero delle carceri, alle fabbriche d'armi, alle deturpanti e ammorbanti ciminiere e deserti industriali, che nessuno provvede a bonificare, dell'ex Saras, Porto Torres, Ottana, Furtei, fanghi rossi ..., viene da pensare che avevano pienamente ragione gli spagnoli a definirci pochi, senza cervello nè criterio e donzunu a cabu e contu sou e di quanto sostenuto dalle speculazioni interessate di diversi imprenditori del continente: pinta la legna e mandala in Sardegna, immagino faccia ribollire il sangue nelle vene a qualunque sardo.
L'ennesimo tentativo di colonializzazione industriale, di fare della nostra Sardegna una "erra desolata ambientalmente, con le conseguenze immaginabili della devastazione della memoria e l'intento di strapparci dalle proprie radici!
La triste e poco edificante metafora dei mobili di fòrmica e della plastica!
Se hanno un fondo di verità le decantate fierezza e dignità del popolo sardo, è arrivato il momento di dimostrarlo.
Sono convinto che nessun nostro conterraneo voglia ancora accontentarsi delle briciole cadute dalle mense luculliane delle multinazionali e i loro soci, nè vedere il nostro paesaggio ed economia distrutti per sempre, tantomeno relegare i nostri figli e nipoti all'umiliante e scomodo ruolo de cussos burricos ch'istaian tota die inghiriende, pro fagher girare sa mola, e, mancari chin su fachile in ojos, apitu a bider e manigare calchi ranu o 'ucone de farina chi fuiat a sa mola, e pius pagu a cussu de canes de isterzu"!
È necessario, da parte di ogni autentico sardo, il ritorno alla propria identità, a non fare ancora calpestare la nostra bellezza, opporci a qualsiasi tipo di sfruttamento, una riscoperta dell'umano, per tenere viva la speranza di poter contrastare i vari interessi a spese e danni nostri, un recupero della compattezza (i sardi d'adozione e perfettamente integrati e amanti delle bellezze e tradizioni della nostra e loro isola, Fabrizio de André e Gigi Riva sono solo due moderni esempi da seguire!), la riscoperta e rivalutazione del senso d'identità; insomma, una sorta di palingenesi storica e culturale, che consiste in una sosta per riordinare le nostre idee, guardare indietro ai ricorrenti tentativi di sfruttamento, e da questi prendere l'abbrivio per andare avanti con passo deciso e sostenuto verso un responsabile futuro.
Alla stregua di tanti sardi, non ho soluzioni immediate nè taumaturgiche da proporre, se non quella di una radicale presa di coscienza per poter finalmente decidere e sentirci padroni del nostro avvenire.

Angelo Carboni