Sono stati chiamati eroi

12.12.2020

Ormai sono passati undici mesi da quando è stata dichiarata l'emergenza sanitaria in Italia, ma nel concreto come si è imparato a gestirla?

Abbiamo imparato che una delle parole chiave è testare, necessaria per individuare i positivi al Covid-19. La seconda è testare il personale sanitario, altrimenti il finale della storia è come quello dell'Ospedale di Codogno.

Il presidio ospedaliero più vicino a noi è quello «A. Segni» di Ozieri. Qui lavorano molti dipendenti, anche del circondario. Ma in che condizioni?

A marzo si è esordito dicendogli che sarebbero stati sottoposti a tamponi una volta a settimana. Ad oggi sono passate una trentina di settimane, quindi ciascun dipendente dovrebbe essere stato sottoposto ad una quarantina di tamponi. Già...dovrebbe. Invece, in alcuni reparti sono stati effettuati ben DUE tamponi in quaranta settimane. L'ultimo risale al mese di giugno.

Questa è solo la punta dell'iceberg, ma iniziano a scarseggiare anche i famosi (e fondamentali) dispositivi di protezione individuale. La speranza è che i rifornimenti arrivino prima che il magazzino sia vuoto.

Nonostante questo, quelli che sono stati chiamati eroi non vogliono essere chiamati eroi, vorrebbero semplicemente che nel loro posto di lavoro vengano garantite le condizioni minime per lavorare in sicurezza, perché altrimenti potrebbe venir a mancare un servizio che garantisce a tutti noi il diritto alle cure.

Inoltre, ad aprile è stato sbandierato l'allestimento, in tempi record, di quattro posti letto di terapia semi-intensiva e uno di terapia intensiva (con possibilità di ampliamento). I fondi sono arrivati sia dalle Istituzioni (come la nostra Unione dei Comuni del Logudoro), che da donazioni private. Ma i posti letto non sono utilizzati (forse perché occupa-ti dai fantasmi della burocrazia e dell'inefficienza). Infatti, i pazienti positivi, che hanno bisogno di cure, vengono cu-rati negli spazi del pronto soccorso, non in posti letto, ma spesso in barelle, in attesa che si liberino a Sassari dei posti nei reparti adeguati. Così aumenta il disagio per i malati, ma anche per il per-sonale, che deve gestire dei ricoveri inappropriati per l'unità operativa del pronto soccorso, oltre alle loro ordinarie emergenze.

Sembrerebbe che, anche in condizioni di emergenza pandemica, la cosa che riusciamo a fare meglio è mettere la polvere (da sparo) sotto il tappetto, col pericolo che finisca lì sotto anche la miccia, causando l'esplosione (del focolaio).

Giulia Fogarizzu