Trent'anni!

10.04.2021

Sono trent'anni esatti che i familiari delle vittime del Moby Prince chiedono verità e giustizia. Esattamente dalla notte del 10 aprile 1991, quando il traghetto, appena uscito dal porto di Livorno, direzione Olbia, entrò in collisione con la petroliera Agip Abruzzo, ormeggiata in rada a meno di 5 chilometri (due miglia e mezzo) da terra. I morti furono 140, molti della nostra zona, uno di Pattada. La più grande tragedia nella storia della marina civile italiana. La più grande strage sul lavoro nella storia della nostra Repubblica (66 membri dell'equipaggio).

In trent'anni le inchieste che si sono susseguite non sono riuscite a offrire una valida spiegazione dell'accaduto né a individuare le responsabilità. Anzi! In alcuni casi è parso che l'obiettivo fosse escluderle più che accertarle. Sul banco degli imputati, ufficialmente, salirono soltanto personaggi minori, dell'equipaggio della petroliera e della Capitaneria. Tutti assolti. Perché - così la spiegazione della sentenza di primo grado - si era trattato di un incidente, probabilmente causato dalla nebbia. E a nulla sarebbero serviti i soccorsi, neanche i più rapidi ed efficienti, perché a bordo del traghetto morirono tutti in meno di mezz'ora. E invece, col tempo, si inizia ad avere qualche certezza: che di nebbia non c'era traccia (come già ampiamente dimostrabile e dimostrato nell'immediatezza della tragedia); che i tempi di sopravvivenza (meglio, di agonia) furono ben più lunghi di 30 minuti; che la petroliera era situata in un cono di interdizione all'ancoraggio; che il porto di Livorno era teatro di movimentazioni ambigue, commesse da malavitosi in odore di camorra e dagli statunitensi (e si potrebbe sottolineare la scarsa collaborazione degli alleati, che non hanno mai fornito dati utili alle indagini, nonostante la base di Camp Derby); che il carico della petroliera era misterioso, almeno quanto la rotta dell'ultimo viaggio prima dell'ancoraggio in porto.

Si viene a scoprire anche che, soltanto due mesi dopo la tragedia, gli armatori delle due parti coinvolte stipularono un accordo in cui si impegnavano reciprocamente a non attribuirsi responsabilità, in barba a qualsiasi logica o prassi (ma, prima o poi, si scoprirà che una logica c'era, una chiara volontà di oscurare i fatti e le colpe).

Nel 2015 è stata istituita una Commissione d'inchiesta in Senato, che ha avuto il merito di iniziare a sollevare il velo di menzogne che nasconde la verità. Ma ha solo iniziato. E così oggi, trent'anni dopo la strage i familiari continuano a chiedere. Ci sono quattro proposte (da Pd, Lega, M5s e Gruppo misto) di nuove commissioni parlamentari, due per ogni ramo dell'Assemblea. Ma le associazioni dei familiari, con una lettera pubblica del 31 marzo, supplicano le forze politiche di unificare le proposte e fare in modo che la commissione sia bicamerale, affinché i lavori non siano vanificati dalla fine della legislatura.

Noi ci uniamo ai familiari nel ricordo della strage e nella richiesta di verità e giustizia.

Giacomo Multinu